L’architettura delle DOP e delle IGP.
L’architettura giuridica delle DOP e delle IGP è straordinariamente complessa sotto diversi profili. Complessa è, ad esempio, la stessa natura giuridica di questi segni prevalentemente inclusiva e di stampo essenzialmente pubblicistico. Essi, infatti, sono destinati ad essere condivisi da un “gruppo” che non può essere considerato proprietario del segno secondo l’accezione classica del termine. Proprio l’essere al di fuori dagli schemi proprietari più abitualmente utilizzati (marchi, brevetti, ecc.) costituisce al tempo stesso un punto di forza ed originalità di questi segni ma anche un fattore di debolezza. Alcuni mercati mondiali non sono ancora pronti a ragionare in termini di segni appartenenti ad una “comunità” o ad accettare il divario di averne scoperto l’esistenza più tardi rispetto alla loro originaria evoluzione in alcuni Paesi europei (Italia, Francia) e poi all’interno del territorio unionale. Complesso è, inoltre, anche il rapporto fra DOP, IGP e il passato. Le DOP e IGP sono il frutto del savoir faire di una comunità stanziata su un territorio che si è assestata intorno alla ripetizione di processi produttivi e che diviene guardiana di questo sapere producendo un “cibo della memoria, deposito materiale di una memoria collettiva” (Di Lauro, 2020-c). Tuttavia la conservazione del sapere, e la ripetizione potenzialmente all’infinito delle caratteristiche che il prodotto aveva in un certo momento storico, necessita di una “composizione (im)possibile dello spazio e del tempo” (Di Lauro, 2015), una preservazione attiva del passato, mentre intorno tutto è soggetto al cambiamento e richiede, quindi, una grande capacità di adattamento e di innovazione. Fra le diverse sfide che questi segni si trovano ora ad affrontare sicuramente un posto privilegiato occupa l’ineludibile confronto che va delineandosi fra DOP, IGP e sviluppo sostenibile nonché la difficile scelta dei modelli giuridici da adottare. Il modo in cui il settore delle DOP e delle IGP affronterà queste sfide determinerà il ruolo che questi segni potranno avere nello sviluppo futuro dei mercati.
La sostenibilità delle DOP e delle IGP: lavori in corso.
Quanto alla sostenibilità delle produzioni DOP e IGP occorre dire che, contrariamente a quanto affermato in numerosi documenti, il legame fra questi segni e lo sviluppo sostenibile è ancora imperfetto e largamente in costruzione. Individuano un legame fra DOP, IGP e sostenibilità la Guida Fao-SinerGi (2010) “A guide for promoting quality linked to geographical origin and sustainable Geographical Indications” (http://www.fao.org/3/i1760e/i1760e.pdf), il Rapporto della Fao dal titolo “Identifier les produits de qualité liée à l’origine et leurs potentiels pour le développement durable. Une méthodologie pour des inventaires participatifs 2012” (http://www.fao.org/fileadmin/templates/olq/files/MethodologyFR. pdf.) e il documento “Strengthening sustainable food systems through geographical indications. An analysis of economic impacts” (http://www.fao.org/3/ I8737EN/i8737en.pdf ) che la FAO e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo hanno redatto all’inizio del 2018. In questi documenti le Indicazioni Geografiche sono considerate come strumenti destinati a rinforzare lo sviluppo sostenibile di diversi territori. Emerge, però, come nella maggior parte dei casi considerati la sostenibilità venga riconosciuta in presenza anche solo di una delle diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile cioè di quella economica, di quella sociale, di quella ambientale o culturale. Ma la nozione di sviluppo sostenibile, come è noto, non può essere ridotta solo ad alcune delle sue componenti ed è per natura poliedrica. L’affermarsi di una sola di queste dimensioni, spesso a detrimento delle altre, non può dirsi rispettare quei parametri multidimensionali e dinamici dello sviluppo sostenibile che dovrebbero emergere anche grazie all’individuazione, ancora difficile, di corretti indicatori dello sviluppo sostenibile (Di Lauro, 2019). E che talvolta l’affermarsi delle DOP e IGP sia privo del carattere multidimensionale della sostenibilità emerge con chiarezza dall’osservazione di alcune zone anche particolarmente rinomate, come il territorio dei vini Bordeaux, dove ai profitti dei grandi Châteaux non sempre si accompagna lo sviluppo economico, sociale, culturale, ambientale dei villaggi e dei territori (https://www.lemonde. fr/vins/article/2018/01/27/dans-le-bordelais-le-traitement-chimique-des-vignes-suscite-la-polemique_5248098_3527806.html). A fronte di accostamenti, a volte frettolosi, fra DOP, IGP e sviluppo sostenibile si deve riscontrare che la disciplina di questi segni, si è inizialmente sviluppata in area europea con il reg. CEE 2081/92 che non conteneva alcun riferimento esplicito ad una nozione, quella di sviluppo sostenibile, che solo in quegli anni si andava rafforzando in ambito internazionale anche grazie alla Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992. Il Reg. UE 1151/2012 attualmente vigente contiene, poi, solo pochi riferimenti espliciti allo sviluppo sostenibile laddove ricorda la Comunicazione della Commissione dal titolo “Europa 2020: Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” (considerando 5) ed invita a riflettere sulla necessità che i prodotti che ricorrono a tali segni osservino “prescrizioni specifiche intese a proteggere le risorse naturali o il paesaggio della zona di produzione, ovvero (…) il benessere degli animali” (considerando 23). Nonostante, poi, la natura pubblicistica dei segni lasci propendere per una sostenibilità del modello adottato, altri elementi depongono in senso contrario. Ad esempio, la constatazione della mancanza di riferimenti generali obbligatori alla sostenibilità dei processi produttivi nella procedura di registrazione dei segni e nelle verifiche sul loro utilizzo (Di Lauro, 2018). Ma anche il forte legame esistente fra le DOP, le IGP e la Politica Agricola Comune, legame che emerge sin dalla base giuridica utilizzata per l’emanazione del reg. UE 1151/2012 (cioè gli artt. 43, par. 2 e 118, par. 1 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), non contribuisce a rafforzare la relazione fra questi segni e lo sviluppo sostenibile. DOP e IGP risultano una componente della PAC, una misura di accompagnamento di altre misure agricole, strumenti della trasformazione agricola dei territori e della politica di sviluppo rurale (art. 1) nella costruzione di un “insieme” che si vorrebbe “coerente”. Si deve allora pensare che occorre una PAC sostenibile per realizzare delle produzioni DOP e IGP sostenibili. La discussione intorno alla c.d. nuova PAC è ancora in corso e non sappiamo ancora quanto le nuove regole di questo settore saranno in grado di rispondere alla richiesta di intervenire rigorosamente sulle modalità di svolgimento delle attività che provocano i cambiamenti climatici in corso, la perdita delle biodiversità, l’impoverimento di territori e di popolazioni, lo spreco anche alimentare, le difficoltà di accesso ad un’alimentazione sana, nutriente e sostenibile. Quel che è certo è che l’attuazione del percorso delineato dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, una strategia “Dal produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente, del 20 maggio 2020, contribuirà a delineare le linee della nuova Politica Agricola Comune e anche delle DOP e delle IGP. “Rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050” è l’ambizioso obiettivo della Comunicazione citata e questi segni possono contribuire al raggiungimento di tale obiettivo così come di quelli indicati da Agenda 2030, Risoluzione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite del 25 aprile intitolata “Trasformare il mondo: il programma di sviluppo rurale nell’orizzonte 2030”. Occorrerà, quindi, comprendere attraverso quali modelli giuridici le DOP e IGP decideranno di approfondire la sostenibilità delle produzioni.
DOP e IGP: quali modelli giuridici per la sostenibilità.
Quando si esaminano i diversi modelli giuridici di sostenibilità delle DOP e IGP non si può fare a meno di registrare che stanno nascendo dei segni DOP e IGP già di per sè rispettosi della sostenibilità. Accade in Quebec, ad esempio, dove è stato solo di recente disciplinato l’uso di segni indicanti l’origine ed altre caratteristiche dei prodotti. La Loi sur les appellations réservées et les termes valorisants (c. A-20.03) prevede l’assegnazione ad alcuni prodotti di “termini valorizzanti” quali Indicazioni Geografiche Protette (IGP), Attestazioni di specificità (AS), Denominazioni di Origine (AO). In questo quadro sono stati riconosciuti come IGP l’“Agneau de Charlevoix”, il “Maïs sucrè de Neuville”, il “Vin de glace du Quebec”, il “Cidre de glace du Québec” e come AS il “Fromage de vache de race canadienne”. Con la stessa disciplina si è proceduto al riconoscimento della menzione “Biologique”. Anche se la concessione di questi segni non risponde sempre alla verifica dei parametri dello sviluppo sostenibile, occorre segnalare che la menzione “Biologique” – elaborata dall’Office des normes générales du Canada nel documento Systèmes de production biologique. Principes généraux et normes de gestion (cAn/ cgsb-32.310-2015, sostituito da cAn/mo nel marzo 2018) – fa riferimento all’agriculture durable. Anche il Cahier des charges della menzione IGP “Maïs sucré de Neuville” (l’IGP “Maïs sucré de Neuville” è stata riconosciuta il 14 giugno 2017 dal Ministre de l’Agriculture, des Pêcheries e de l’Alimentation du Quebec il cui disciplinare è stato modificato nell’aprile del 2017), contiene riferimenti a pratiche di coltivazione e produzioni che possono dirsi sostenibili e alla sostenibilità nell’uso delle risorse. All’interno dell’Unione Europea, dove come già detto, il disegno di questi segni è partito prima dell’affermarsi della nozione di sviluppo sostenibile, si percorrono, invece, diverse strade. Da una parte si assiste alle richieste di modifica dei disciplinari di produzione volte a migliorare il rispetto della sostenibilità ma si ricorre spesso anche a certificazioni ulteriori volte a segnalare il rispetto di alcuni o tutti i parametri della sostenibilità. In Italia, poi, l’attenzione sempre più alta verso la sostenibilità ha condotto sia a richieste di modifiche dei disciplinari, sia all’adozione di regolamenti interni ai Consorzi che vanno in questo senso o all’adozione di certificazioni spesso in mani private. Si tratta di iniziative di tenore molto diverso che accanto al pregio di promuovere pratiche virtuose incidono però in diverso modo sulla natura dei segni sui quali si vanno ad inserire. Le iniziative di modifica del disciplinare, così come quelle portate avanti all’interno dei Consorzi, rischiano di non essere conosciute dal consumatore finale e, incidendo sul contenuto della protezione a suo tempo accordata, necessitano del consenso (non sempre facile da raggiungere) dei produttori coinvolti. La strada, poi, del ricorso a certificazioni ulteriori volontarie è, certamente, quella fortemente emergente in questo momento. Molte le esperienze significative fra le quali: quelle di Equalitas (https://www. equalitas.it/lo-standard/); quelle della certificazione VIVA La sostenibilità della vitivinicoltura in Italia, portato avanti dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con la collaborazione del Centro di ricerca Opera per la sostenibilità in agricoltura dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Centro di competenza Agroinnova dell’Università di Torino (http://www.viticolturasostenibile. org/); il progetto finanziato dal PSR 2014/2020 della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dal titolo: “Innovazioni per la gestione sostenibile del vigneto e per la definizione dei criteri di certificazione ambientale dell’azienda vitivinicola” che prevede l’individuazione di metodi di “gestione agronomica sostenibile” per un migliore utilizzo delle risorse idriche, dei fitofarmaci, dei concimi e una “migliore salvaguardia dell’ambiente” che dovrebbero portare a definire “un protocollo di comportamenti virtuosi”; il progetto Life DOP (http:// www.lifedop.eu) che è sviluppato con il contributo dell’Unione Europea e che coinvolge Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP per la realizzazione di un modello di economia circolare a basso impatto ambientale. Queste iniziative, ma molte altre potrebbero essere citate, mostrano le difficoltà alle quali devono far fronte i produttori che vogliano integrare pratiche sostenibili nei disciplinari e valorizzare, anche con una efficace comunicazione al consumatore, il cammino intrapreso. Le diverse certificazioni alle quali abbiamo fatto riferimento sono su base volontaria, aggiuntive rispetto alle procedure seguite per l’ottenimento e il mantenimento del segno DOP o IGP, differenziate anche nelle richieste dei parametri che possono arrivare ad integrare anche la redazione di un Bilancio di sostenibilità con il quale presto o tardi il mondo dell’agricoltura dovrà familiarizzare in modo generale. Comportano, inoltre, una moltiplicazione dei segni esistenti sul prodotto, a discapito a volte della comprensibilità e della comunicabilità stessa delle pratiche intraprese. Anche in Francia vengono proposti diversi modelli regolatori dei segni di qualità legati alla sostenibilità e due in particolare meritano di essere segnalati. Mi riferisco al segno Haute Valeur Environnemental (HVE) e al c.d. sesto segno SIQO Agriculture biologique locale et équitable. Il segno Haute Valeur Environnemental (HVE) è stato creato con la loi n. 2010-788 del 22 luglio 2010 sull’impegno nazionale per l’ambiente (“engagement national pour l’environnement”). Si tratta di una certificazione ambientale che rientra nell’elenco delle mentions valorisantes che possono essere apposte sui prodotti alimentari per segnalare la qualità e l’origine degli stessi e che è entrata nell’articolo L. 611-6 del Code rural et de la pêche maritime. Le modalità del suo riconoscimento sono state precisate dai decreti n. 2016-2011 del 30 dicembre 2016 e n. 2011-1914 del 20 dicembre 2011, ormai iscritti negli articoli D. 617-1 e seguenti del Code rural et de la pêche maritime. Questa certificazione ambientale delle imprese agricole costituisce un cammino volontario articolato intorno a quattro assi principali: la biodiversità, la strategia fitosanitaria, la gestione della fertilizzazione e la gestione dell’acqua. Si tratta di un impegno progressivo distinto in tre livelli di cui il terzo è considerato il livello di eccellenza chiamato di Haute Valeur Environnementale (HVE) ed è l’unico che dà diritto all’apposizione in etichetta del segno HVE. È importante segnalare che il segno HVE pur essendo volontario sta avendo una grande diffusione in Francia ed è sempre più richiesto anche nell’ambito delle condizioni contrattuali di acquisto della grande distribuzione. Non a caso si comincia a parlare di una certificazione, quella HVE, “volontaria ma obbligatoria” come confermano l’obiettivo nel settore vitivinicolo di raggiungere il 50% delle produzioni con certificazione HVE entro il 2025, gli obiettivi posti dall’INAO (Institut national de l’origine et de la qualité) in relazione anche ad altre produzioni. Senza contare che in Francia è stato previsto che “al più tardi il 1 gennaio 2030” i segni di identificazione della qualità e dell’origine (SIQO) integrino nel loro disciplinare il rispetto delle condizioni previste per la certificazione HVE (art. 48 de la LOI n° 2018-938 du 30 octobre 2018 (Egalim) “pour l’équilibre des relations commerciales dans le secteur agricole et alimentaire et une alimentation saine, durable et accessible à tous” (JORF n°0253 du 1 novembre 2018). Se il segno HVE è stato chiaramente identificato come un “dispositivo di transizione agroecologica dell’agricoltura francese”, nell’orizzonte dei modelli giuridici adottabili si profila sul territorio francese anche quello del c.d. sesto segno. Si tratta del segno Agriculture biologique locale et équitable, il frutto della Raccomandazione numero sei dell’Avis del Conseil économique, social et environnemental (CESE) francese del giugno 2018 dal titolo Les Signes Officiels de la Qualité et de l’Origine (SIQO) Les Signes Officiels de la Qualité et de l’Origine (SIQO) (https://www.lecese.fr/sites/ default/files/pdf/Avis/2018/2018_18_ qualite_origine_produits_alimentaires.pdf). Nella Raccomandazione si ipotizza la creazione di un “sesto segno” destinato ad aggiungersi agli altri cinque già presenti sul territorio francese – Denominazione di Origine Protetta (DOP), Indicazione Geografica Protetta (IGP), specialità tradizionale garantita (STG), l’agricoltura biologica ed un quinto segno, il “Label rouge” – che possa essere apposto anche su prodotti agricoli non alimentari e non trasformati e su prodotti alimentari sui quali figura il segno dell’IGP o della STG ma non quello della DOP. Il segno dovrebbe riprendere le caratteristiche agronomiche attuali dell’agricoltura biologica aggiungendo altri criteri quali: la prossimità tra i luoghi di produzione, di trasformazione e di commercializzazione; l’analisi del ciclo di vita; la dizione Haute Valeur Environnementale (HVE); la Responsabilità Sociale di Impresa (Di Lauro, 2020). È evidente che stiamo assistendo ad una profonda trasformazione dei segni DOP e IGP destinata in alcuni casi a modificare dall’interno la loro architettura.
Il tempo delle scelte
Siamo di fronte alla richiesta di un profondo cambiamento delle regole relative a diverse produzioni, compresa quella agricola, e le DOP e le IGP dovranno partecipare a questo processo di continuo ed ineludibile ripensamento. I mercati e i consumatori chiedono costrutti regolatori più chiari, più trasparenti, più corretti. L’urgenza dettata dal cambiamento climatico invoca la profonda trasformazione di alcuni processi produttivi, il ripensamento di logiche passate, una responsabilizzazione più ampia. Le DOP e le IGP possono essere protagoniste di questo processo di rinnovamento. Dovranno scegliere i modelli, pubblicistici o privatistici, con i quali lavorare intorno alla sostenibilità (Di Lauro, 2020a e c). Le DOP e IGP integrano già per certi versi alcuni dei parametri della sostenibilità grazie proprio ad un disegno giuridico aperto, alla conservazione e condivisione dei saperi, all’infaticabile opera di sviluppo e promozione delle zone anche più svantaggiate. Ma certamente sarebbe un errore in questo momento pensare che il percorso della sostenibilità sia già stato tracciato, sia insito nel riconoscimento ottenuto, appartenga “per nascita” a questi segni. Per affrontare le nuove sfide le DOP e le IGP dovranno, evitare di ripiegarsi sul passato visto che è largamente superata l’idea che tutto ciò che viene dal passato possa dirsi sostenibile. In alcuni ambiti (in Francia ad esempio) si discute già della possibile “disaffezione” dalle DOP e dalle IGP da parte dei consumatori attirati da segni che possano lasciare emergere in modo più evidente la sostenibilità. È il momento per le DOP e le IGP di trovare il coraggio di essere protagoniste di questo cambiamento integrando gli aspetti emersi anche nel #decalogoDOP, la ricerca Qualivita sulla comunicazione istituzionale post Covid-19 dei Consorzi di tutela (cfr., Consortium 3/2020). Le difficoltà che si annunciano non sono a mio parere evitabili anche per una migliore e più forte accettabilità di questi segni in ambito internazionale. Queste difficoltà riveleranno la “nostra capacità di audacia e di inventiva. E anche il nostro coraggio. Senza dubbio, d’altronde, il tempo è veramente venuto di essere coraggiosi” (E. Klein, Sauvons le Progrès, 2017. NdR La traduzione è mia).
A cura di Alessandra Di Lauro
Fonte: Consortium 2021_01