In questi giorni la Ue ha messo sotto inchiesta uno dei principali motori di ricerca per una presunta violazione delle regole sulla concorrenza.
Non ci vuole una laurea in marketing ed economia per capire che il forte utilizzo che facciamo ogni giorno di Google orienta molte delle nostre decisioni soprattutto quelle relative ai consumi. Di fatto, anche se non è mai decollato il commercio elettronico, soprattutto in Italia, quando si parla di ristoranti, della mete turistiche per un viaggio, di alberghi o più semplicemente quali libri comprare, ci si trova di fronte a scelte che sono tutte pesantemente condizionate dalla rete. Per i brand forti, che hanno la possibilità di “dominare” e “gestire” il fenomeno della rete, rimane una grande opportunità. Per i brand deboli dal punto di vista economico, ma conosciuti in tutto il mondo come le nostre produzioni agroalimentari di eccellenza, tutto questo rappresenta un grande problema. Il fenomeno dell’agropirateria che si consuma negli scaffali dei negozi americani diventa più difficile da controllare quando si trasferisce in rete. E così può capitare di cercare su un motore di ricerca un olio toscano, un chianti e come risultato trovare aziende o informazioni riferite a ben altri prodotti. Ed allora tutti quegli sforzi che in questi anni sono stati fatti per tutelare le nostre indicazioni geografiche potrebbero risultare vani se all’interno dell’agorà telematica non fosse possibile far rispettare le stesse regole. Teoricamente i regolamenti europei che hanno istituito il registro delle denominazioni e sancito il loro corretto uso, dovrebbero dare una forte garanzia sia per permettere la corretta informazione al consumatore, che per tutelare le imprese produttrici. Teoricamente, perché poi nel Web non sempre questo è vero. Basta cliccare su Google Parmigiano Reggiano e Paarmesean Cheese per renderci conto !