E’ arrivato anche a Hollywood in un film-culto, Harry ti presento Sally: Meg Ryan al ristorante ordina un piatto di radicchio alla griglia suscitando l’ammirazione dei commensali per il suo gusto. Carlo Goldoni invece non lo conosceva: per lui il radicchio era tutt’altro rispetto a oggi, sostanzialmente l’indivia. Altrimenti, anziché far iniziare Le baruffe ciosote con una fetta di zucca arrostita avrebbe fatto servire un piatto di radici per scatenare la gelosia amorosa. Colorato ma umile, il radicchio vive una vita da contorno.
Ma è sempre stato un protagonista. Lo raccontano la tradizione e le cifre: radici e fasoi era un piatto diffuso, spesso l’unico cibo sulla tavola in campagna. Oggi il 70% del radicchio prodotto nel Veneto (che coltiva metà di tutta la produzione d’Italia valutata in due milioni di quintali) è quello di Chioggia: quindi è il numero uno d’Italia. E pensare che è il più giovane della famiglia: nasce negli anni Trenta del Novecento dal Variegato di Castelfranco e quindi, con selezioni mirate, negli anni Cinquanta diventa il “rosso di Chioggia“. Dal 2008 ha il timbro Igp. Presente sul mercato quasi tutto l’anno, il tardivo è coltivato in tutti i dieci Comuni che compongono il consorzio: Cavarzere, Chioggia, Cona (Venezia), Codevigo, Correzzola (Padova), Ariano nel Polesine, Loreo, Rosolina, Porto Viro, Taglio di Po (Rovigo).
Quello precoce è prodotto solo a Rosolina e Chioggia Tutti i radicchi del Veneto, peraltro, discendono da sua maestà il radicchio di Treviso, “il fiore che si mangia“, la cui genealogia si fa risalire al floricoltore belga Francesco van der Borre. Secondo Giuseppe Maffioli, fu lui a selezionare l’ortaggio fra il 1860 e il 1870 a villa Palazzi, oggi villa Taverna sul Terraglio. A Dosson di Casier il sindaco e senatore Antonio De Reali coltivava quelle piante selvatiche che crescevano sui fossi. Se ne incuriosì van der Borre, che andava a caccia da quelle parti: prese le piante e le trapiantò nella sua serra. Grazie alla tecnica dell’imbianchimento, conosciuta nelle Fiandre, le foglie da verdi diventarono rosse. E così scrisse un capitolo nuovo di una storia antica di secoli, le cui protagoniste sono state le donne, come del resto lo sono di quasi tutta la tradizione gastronomica che loro – lo afferma Arrigo Cipriani – hanno preservato. Sottolinea Ulderico Bernardi, docente emerito di Cà Foscari: le contadine fino a qualche decennio fa conoscevano le virtù mediche o mangerecce di duecento piante. Meriterebbero un monumento le donne, e non solo per i meriti gastronomici. Il radicchio un monumento ce l’ha già: a Scorzè, unico al mondo.
Fonte: Il Gazzettino