Leggo
Il rosso è il colore della cucina estiva: con un’insalata, nel matrimonio con pane e pasta, crudo o ripieno, il pomodoro ravviva i nostri piatti più freschi. Questo ortaggio ricco di vitamina A e C è sbarcato in Europa dopo la scoperta dell’America, precisamente dal Perù. E per molti decenni, tra Seicento e Settecento, fu guardato con sospetto e considerato una pianta ornamentale. Si temeva fosse velenoso. Poi è arrivato il successo, grazie alla salsa, che fu codificata nel trattato di Pellegrino Artusi, «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene» soltanto nel 1891. Le tipologie sono tante, dal Cuore di bue al Tondo liscio a quello del Piennolo al San Marzano (protetto dalla Dop). Ma forse il più famoso rimane quello di Pachino, che ha festeggiato i dieci anni di tutela dell’Igp. Si produce in provincia di Ragusa e Siracusa: il suo habitat migliore è quello nella punta sud orientale della Sicilia, tra la Riserva Naturale di Vendicari e Capo Passero. Nonostante la sua fama, o forse proprio per questa, il pomodoro di Pachino negli ultimi anni è andato in crisi: troppo alte le spese di produzione, come ci dice l’agronomo Sebastiano Barone. Oggi sono circa 750 gli ettari coltivati, contro i mille di un tempo. Troppe le imitazioni, anche da Paesi Mediterranei. Si salva soltanto chi riesce a esportare il ciliegino nei tipici cestelli da 250 grammi che si trovano in tutti i supermercati anche d’inverno, grazie alle serre.
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