Il consorzio per l’IGP ha scritto il disciplinare per riconoscere il vero «Gianduiotto di Torino». Gli ingredienti irrinunciabili del dolce sono stati scovati dall`Università e dalla Camera di Commercio.
Anche se la maggioranza dei più noti artigiani del cioccolato evita di «aggiustare» il gusto del cacao come in passato, per preservare la tradizione i coniugi Peyrano hanno consigliato di inserire il sale e la vaniglia. Sono gli unici aromi presenti nella bozza del disciplinare del «gianduiotto di Torino».
È la «ricetta» scritta dal consorzio di produttori impegnato, col supporto della Camera di Commercio, nell’istituzione del marchio IGP. Un bollino certificato in Europa – che per il 2022 si spera di poter presentare – per salvaguardare e rendere ancora più famoso il dolce simbolo della città. Un lavoro complesso. Richiede pazienza nelle ricerche, visione e un forte spirito di mediazione.
«Creare uno standard di un prodotto non è mai facile. Ancora di più quando si parla di gianduiotto che tradizionalmente si fa in tanti modi diversi. In passato nessuno ha trovato la formula per accordare le piccole e le grandi aziende», spiega Guido Bolatto, segretario generale della Camera di commercio di Torino. Il marchio di «Indicazione geografica protetta» servirà a migliorare la riconoscibilità del dolce principe del nostro distretto del cioccolato, ma anche per evitare scippi stranieri come nel caso della Pernigotti. Ma all’orizzonte non c’è nessuna guerra tra produttori.
«Abbiamo dialogato con tutti: lo scopo è valorizzare il gianduiotto rendendolo ancora più conosciuto. Un traguardo che porterà ricadute positive anche a chi non rientrerà nell’IGP». Guido Castagna è il presidente del comitato per il bollino. Il primo passo è stato la caratterizzazione dei prodotti sul mercato. Analisi, realizzata dal dipartimento di Scienze Agrarie di Unito e dal Laboratorio Chimico della Camera di Commercio, fondamentale per scegliere le proprietà che dovrà avere un cioccolatino per fregiarsi del titolo di «Gianduiotto di Torino IGP».
Per iniziare una forma precisa. A «givò» che, in dialetto piemontese, significa mozzicone di sigaro. Un pezzo dovrà pesare tra i 4 e i8 grammi. Escluse tutte le altre grammature e le versioni prodotte con Matte in polvere. «Ingrediente depennato per ragioni storiche», spiega Castagna. Sono ammesse tutte le lavorazioni: a mano usando le coltelle, con gli stampi, per estrusione e con le macchine. «Nei secoli si sono sedimentate tecniche diverse, tutte con le loro tradizioni – aggiunge il presidente del consorzio -. Per cui il nostro attestato di qualità si baserà sulle materie prime».
L’ingrediente obbligatorio è la pasta (acquistata o prodotta) di nocciola Piemonte IGP in purezza, dal 3o a 145 per cento del peso del prodotto. Bandite le importazioni turche. Le percentuali sono state scelte con la campionatura. «Le soglie sono assolutamente reali. Spesso esagera chi vende cioccolatini col 7o per cento di nocciole – dice Castagna -. Ai produttori industriali, invece, chiediamo un sforzo. Ma così tuteliamo il gusto del gianduiotto».
La «ricetta» Igp mette al bando la vanillina e gli edulcoranti. Prescrive l’uso di zuccheri semolati per evitare che si possa produrre il dolce più noto di Torino mescolando cioccolato fondente e nocciole. Inoltre, è obbligatorio incartarlo, a mano o a macchina, mediante foglio di alluminio accoppiato. Il confezionamento dovrà avvenire necessariamente nella zona individuata nel disciplinare. Anche se il nome scelto è «di Torino» per la sua riconoscibilità, il gianduiotto IGP potrà essere preparato in tutto il Piemonte. La Regione ha chiesto di non limitarsi alle province più produttive: Torino, Cuneo e Asti.
Fonte: Corriere di Torino