La crescita del vino italiano, le potenzialità e l’interesse del mercato, nonostante la pandemia e la crisi economica
Uno dei prodotti capaci di resistere alla pandemia e alle varie crisi del mercato angolano, è stato sicuramente il vino, capace di restare a tavola dei consumatori indipendentemente dai vari fattori esterni che influenzano sia la produzione che la distribuzione. In Angola, come in tutto il mondo, la pandemia ha avuto un impatto importante sul commercio del settore agroalimentare, impatto relativamente minore per quanto riguarda le bevande. Come rivelano i dati sulla quantità di vino importato negli ultimi anni: 29,18 milioni di euro nel 2021 e 30,14 milioni di euro nel 2020, mentre nel 2019, prima della pandemia, l’Angola ha registrato un import di 42,59 milioni di euro, con grande predominanza dei vini portoghesi, che hanno una quota di mercato sempre superiore all’80% (86% nel 2019 e nel 2020, 82% nel 2021), secondo i dati della piattaforma Trade Data Monitor.
La variazione negativa del -29,23% dal 2019 al 2020 (-12.449.464 euro nel valore totale dell’import), non dipende soltanto dalla pandemia, ma soprattutto dalla crisi del prezzo del petrolio, principale prodotto di esportazione del Paese, che attualmente rappresenta il 95,3% delle esportazioni angolane, secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistiche (www.ine.gov.ao).
La crisi del petrolio ha avuto un impatto significativo nel bilancio del Paese, considerata la riduzione della capacità di ottenimento di valuta estera proveniente dalle esportazioni, che ha influenzato non poco la capacità di importazione delle aziende locali. Infatti, solamente nel 2022, considerando il grande balzo del prezzo del petrolio dovuto alla guerra in Ucraina, il Paese ha riacquisito la capacità di importazione di un tempo, avendo più disponibilità di valuta estera, derivante dall’export della sua commodity principale.
A prescindere da queste oscillazioni accentuate, al vino italiano va data una nota positiva, perché nonostante la variazione negativa del -34,4% dal 2019 al 2020, passando dai 956mila euro di export di vino per l’Angola nel 2019 ai 627mila euro nel 2020, ha registrato un aumento considerevole nel 2021, con una variazione positiva del +95,17%, per un totale di 1,22 milioni di euro, occupando adesso il terzo posto tra i principali partner commerciali del settore vinicolo.
La quota di mercato attualmente occupata dall’Italia è del 4,2%, che anche se apparentemente irrisoria, è decisamente importante, considerando che il mercato locale è storicamente dominato dal vino portoghese, anche per motivi culturali, essendo l’Angola un ex colonia del Portogallo. Per capire meglio l’importanza della quota italiana, è sufficiente constatare che anche il Sudafrica, importante partner commerciale dell’Angola soprattutto per motivi di vicinanza geografica e grande produttore di vino a livello mondiale, occupa solamente una quota del 4,9%, non molto lontana da quella italiana.
Tra le categorie di vini italiani più apprezzati localmente, spiccano il Moscato e il Lambrusco, che si trovano in vendita pressoché in tutti i negozi di commercio di bevande alcoliche. La grande disponibilità e presenza di questi prodotti è basata sul fatto che il consumatore medio angolano ha una preferenza per i vini dolci e fruttati, considerando anche il numero elevato di consumatori di giovane età, sotto i 35 anni, che rappresentano più del 70% della popolazione, secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistiche. Gli spumanti, in generale, rappresentano i vini più acquistati dagli importatori angolani, anche se il consumo dei vini fermi è in continua crescita.
Il vino in Angola viene commercializzato perlopiù nei supermercati e nelle cantine sparse un po’ per tutto il Paese, non essendoci in vigore legislazioni che limitino il commercio di bevande alcooliche. Molto comune anche la vendita di vino nel mercato informale, dove il commercio viene effettuato senza lo scrupoloso rispetto delle normative tributarie e sanitarie, e perciò l’attenzione principale dei commercianti e degli acquirenti è indirizzata al prezzo del prodotto, di solito molto ridotto rispetto al mercato formale. Il vino italiano, comunque, è posizionato quasi esclusivamente nel mercato formale, ad eccezione degli spumanti (in particolare il Moscato) che si possono trovare anche nel mercato informale. È in crescita anche il commercio di vino nei canali e-commerce, anche se i numeri sono ancora lontani da quelli dei negozi fisici.
Nonostante i quantitativi importati siano in costante aumento, i buyer locali si imbattono di frequente con le normative tributarie considerate penalizzanti per le aziende del settore. Infatti, per l’arrivo del prodotto, a parte la necessità di superare una procedura doganale lunga e burocratica, sono previste spese relativamente alte per l’importatore, con dazi doganali pari al 50% del valore della fattura, a cui si aggiungono le accise all’8%, l’IVA al 14% e gli emolumenti al 2%. Considerando l’inflazione locale significativamente elevata, superiore al 25% ogni anno (27% nel 2021), e i vari passaggi da importatori, distributori e commercianti al dettaglio, il prezzo della bottiglia non di rado supera il 100% del valore dell’acquisto dall’esportatore.
L’Ufficio ICE di Luanda ha individuato il vino come uno dei prodotti su cui puntare per promuovere il made in Italy localmente, tenendo conto del potenziale e dell’interesse del mercato. A questo fine, vengono svolte varie iniziative per promuovere il vino in loco, come corner nei supermercati, sessioni di formazione sul vino italiano rivolta agli importatori locali, incontri B2B, missioni in Italia per favorire contatti con potenziali esportatori.
A cura di ICE Luanda – Angola
Fonte: Consortium 2022_04