Il benchmark con lo Champagne, il ruolo chiave della filiera informativa e i casi Conegliano Valdobbiadene – Prosecco DOP e Chianti Classico DOP
Nell’ambito dell’incontro “Regolare il mercato delle filiere vitivinicole nella prospettiva di riforma della PAC” organizzato dal Centro studi GAIA dell’Accademia dei Georgofili e presieduto dal prof. Alessandro Pacciani, che si è svolta a Firenze il 26 giugno 2019, è stato presentato dall’accademica Daniela Toccaceli uno studio commissionato da CREA PB che ispirandosi al caso dello Champagne individua nuove soluzioni organizzative per la gestione delle politiche di mercato da parte dei Consorzi di tutela dei vini a denominazione.
La stabilità dei prezzi e la chimera dell’equilibrio di mercato
Il problema della stabilità dei prezzi assume un valore particolare se applicato al mondo dei vini a DO. Il prodotto, profondamente legato al territorio, è altamente differenziato tra Denominazioni e all’interno di una stessa Denominazione. Ciascuna ha una propria struttura di filiera e attraverso l’autoregolazione plasma la ricerca sempre più spinta dell’eccellenza. Il mix ottimale di qualità, quantità e prezzi è frutto alchemico di sapiente esperienza nella gestione delle denominazioni. Ma è anche il frutto del confronto tra interessi che si contrappongono e competono nel mercato interno alle filiere. E il risultato di tale rapporto di forze si proietta sul mercato finale. In questo mondo la parola mercato si declina solo al plurale e di questo le scelte dei policy makers devono tenere opportuna considerazione nel definire gli strumenti che supportino gli operatori nella gestione dell’offerta per perseguire l’equilibrio di mercato. CREA PB ha sostenuto questo percorso di ricerca che vuole dare risposta al problema del rischio di mercato derivante dalla volatilità dei prezzi e dagli alterni andamenti climatici che condizionano l’offerta.
Un metodo di ricerca nuovo: il benchmark attraverso l’analisi neo-istituzionale
La ricerca si è basata sul benchmark tra le soluzioni organizzative adottate dall’AOC Champagne, presa come caso esemplare, e i casi di Chianti Classico DOP e Conegliano Valdobbiadene – Prosecco DOP. Lo scopo del benchmark non era di estrapolare comportamenti da emulare o modelli da adottare. La ricerca è stata finalizzata anzitutto a conoscere di quali strumenti si compone il complesso meccanismo organizzativo e negoziale attuato in Champagne e poi ha cercato di mettere in luce quali meccanismi economici – attivati da quegli strumenti – rendono possibile il successo dello Champagne nella regolazione di mercato. Questa lezione appresa è offerta alla riflessione circa le condizioni che ottimizzano l’uso degli strumenti che sarà possibile attivare in Italia, nel quadro della nuova PAC. Il benchmark si è basato sull’analisi neo-istituzionale che affonda le radici nell’economia contemporanea riconducibile a Ronald Coase, Oliver Williamson, Douglas North e, in particolare, ai più recenti avanzamenti condotti da Claude Ménard. La sua applicazione al benchmark di carattere organizzativo permette di scomporre un problema complesso in livelli distinti e di individuare in ciascuno le soluzioni e i soggetti che le generano. Questo tipo di analisi non richiede generalizzazioni e permette di focalizzare la specificità di ciascun caso nella ricerca del percorso risolutivo. Nell’anallisi neo-istituzionale, le istituzioni possono essere intese come regole definite da organismi preposti per organizzare le transazioni economiche e, seguendo Ménard, si articolano in tre tipologie. A livello macro-istituzionale si stabiliscono “le regole del gioco” di carattere generale. A livello meso-istituzionale si collocano le regole che le traducono in contesti specifici e ne stabiliscono le modalità applicative. Per il tema trattato, le regole “macro” sono stabilite a livello europeo nel Trattato e nei regolamenti che definiscono la PAC, quelle “meso” nelle leggi dello Stato e delle Regioni concernenti la produzione di vini a DO. A livello micro-istituzionale si collocano i modi di organizzare le transazioni, per lo più regolate da contratti, attraverso l’impresa, il mercato o altre forme basate sulla cooperazione tra operatori economici. Questa griglia è stata applicata in un’approfondita analisi dei tre casi di studio e se ne indicano i principali risultati.
Il caso Champagne
Il suo successo deriva da settant’anni di esperienze di regolazione del mercato. La soluzione oggi individuata è calzante con la struttura a clessidra della filiera che ha saputo trovare ragioni e modi di composizione degli interessi di parte per conseguire la stabilizzazione dei prezzi e l’espansione dei mercati attraverso la valorizzazione indistinta della Denominazione. Nel Comité Interprofessionnale Vin de Champagne (CIVC) si compongono gli equilibri interprofessionali tra il Syndicat Général des Vignerons – che poggia su una compatta maglia cooperativa agricola – e le Maisons – che commercializzano la quota maggiore del prodotto, soprattutto sui mercati esteri. Nel CIVC si determinano le scelte che rendono efficace il complesso meccanismo di regolazione che è articolato in numerosi strumenti finalizzati a gestire la produzione, a controllare le transazioni, a conoscere la filiera e a gestire l’offerta, attraverso l’uso algebrico della riserva.
Il risultato: il ruolo chiave della filiera informativa per la trasparenza del mercato
L’analisi ha messo in evidenza che l’aspetto innovativo è la cooperazione tra gli operatori della filiera – guidata dal CIVC – che permette di ricostruire una filiera informativa che restituisce trasparenza alle dimensioni delle transazioni attuate, contribuendo a superare una delle ragioni di fallimento del mercato e a restituire agli operatori della filiera gli elementi per agire “come se fossero un’unica impresa”. Su questa base di conoscenza poggia con successo il meccanismo attuato in Champagne e sulla stessa base – comunque conseguita – si può fondare l’uso sapiente degli strumenti volti a gestire le produzioni e regolare l’offerta.
I casi italiani: come utilizzare la lezione appresa
Se il quadro “macro” è il medesimo per i tre casi, a livello “meso” il legislatore pone al governo delle Denominazioni i Consorzi di Tutela che non sono più riconoscibili come organismi interprofessionali. Poiché non si fa dello Champagne un modello da trasferire, ma una lezione da apprendere, si prescinde dal dibattito su quale debba essere il luogo deputato a gestire le relazioni interprofessionali dei vini a DO. A livello “micro” si è rilevato che le due Denominazioni hanno comunque operato da tempo scelte orientate ad aumentare la trasparenza del mercato attraverso forme di cooperazione specifiche. Nel caso del Conegliano Valdobbiadene – Prosecco DOP, la cooperazione si è sostanziata nella forma del Distretto spumantistico, riconosciuto e sostenuto dalla Regione Veneto, che attraverso l’Osservatorio del distretto –coordinato dal Centro Interdipartimentale per la Ricerca in Viticultura ed Enologia dell’Università di Padova – ha predisposto un sistema costante di rilevazione e interpretazione dei dati. Nel Caso del Chianti Classico DOP, la cooperazione si è espressa tra i maggiori operatori che volontariamente hanno accettato di condividere le informazioni sulle transazioni, e di utilizzare un sistema gestionale per costruire un primo nucleo di filiera informativa. Tale percorso si è esteso alla cooperazione tra i principali Consorzi di Tutela Toscani che hanno costituito un Gruppo Operativo del Partenariato Europeo per l’Innovazione. È emerso il ruolo dell’Ente di certificazione che già rileva molti dati, ad eccezione dei prezzi. Per i due casi si tratta di Valoritalia che ha sviluppato Dioniso quale strumento finalizzato a restituire ai titolari dei dati un modo di consultazione e acquisizione degli stessi in forma elaborata. A partire dalla costruzione della propria filiera informativa, ogni Denominazione dovrà trovare la propria soluzione organizzativa per utilizzare al meglio gli strumenti di gestione della Denominazione.
A cura di Daniela Toccaceli Centro studi GAIA
Fonte: Consortium 2019/03