Le minacce per l’economia italiana sono dietro l’angolo. Lo dicono i numeri dei primi mesi del 2018 che, anche se in rialzo del 4,1%, segnano un rallentamento delle esportazioni, con una tendenza negativa principalmente verso i paesi extra UE. E lo confermano le previsioni per i prossimi mesi che parlano di una crescita incerta a causa delle politiche commerciali aggressive annunciate, e in parte già adottate, dagli Usa. Politiche che potrebbero avere ripercussioni sull’export italiano, rischiando di compromette quanto di buono fatto nel 2017, anno in cui i beni e i prodotti italiani hanno registrato numeri importanti come dimostra l’aumento del saldo attivo dell’industria manifatturiera che ha superato i 96 miliardi. Oppure le positive performance di settori come farmaceutico, metallurgico, prodotti chimici e alimentare.
È la fotografia in chiaro scuro che emerge dalla 32° edizione del rapporto Ice, “L’Italia nell’economia internazionale”, in cui vengono analizzati i punti di forza e di debolezza del sistema-Paese. Le opportunità di sviluppo, in primis verso la Cina, e le criticità croniche delle nostre imprese spesso meno competitive all’estero rispetto ai concorrenti per le loro minori dimensioni e la loro resistenza ad aprirsi al capitale. Criticità che aumentano nel Sud dove il divario con il Nord resta elevato sia in termini di esportazioni, sia ancor di più come presenza delle multinazionali estere.
Di certo, un contributo importante al nostro export è arrivato dal Piano straordinario del Made in Italy, istituito nel 2014, con uno stanziamento di 374 milioni di euro nell’ultimo triennio. E di altri 230 milioni per il triennio 2018-2020, di cui 130 solo nel 2018. «I risultati del Piano sono stati molto positivi, per questo motivo l’auspicio è che da straordinario diventi strutturale. In Germania e Francia succede così, inoltre le loro imprese possono contare su risorse significativamente superiori alle nostre», esordisce Michele Scannavini, presidente dell’ICE, Agenzia perla promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane.
Italia al 9° posto
Il rapporto ICE conferma che la Cina resta il primo esportatore mondiale, anche se nel 2017 la crescita delle sue esportazioni è stata inferiore alla media degli altri paesi. L’Italia è rimasta in 9° posizione. «Considerando i primi 10 paesi in graduatoria, la crescita delle nostre esportazioni è stata superata soltanto da quelle della Corea del Sud e dei Paesi Bassi. Nell’ultimo quinquennio la quota di mercato mondiale dell’export italiano è lievemente aumentata, interrompendo la flessione iniziata negli anni Novanta», sottolinea Scannavini. Rispetto a Francia, Germania e Spagna, le nostre esportazioni appaiono nel 2017 come quelle meno orientate verso i mercati dell’UE. Tra le aree di destinazione più “gettonate (in termini relativi) spiccano: Nord Africa, Balcani, Medio Oriente e America Latina. Inoltre, negli ultimi anni è aumentato molto il peso del Nord America. In termini quantitativi, nel 2017 la crescita delle esportazioni di beni e servizi (5,4%) ha superato la media mondiale e, per la prima volta dopo 6 anni, anche quella dell’Eurozona.
Investimenti in calo
I flussi di IDE (investimenti diretti esteri) in entrata in Italia sono diminuiti del 23% lo scorso anno, come la media mondiale. Mentre gli IDE in uscita dall’Italia sono diminuiti addirittura del 74% e la loro quota sul totale mondiale è scesa ulteriormente. «Premesso che lo scorso anno sono diminuiti i flussi di investimenti diretti esteri, soprattutto nei paesi avanzati, per il venir meno del contributo positivo delle grandi operazioni di fusione e acquisizione – dichiara Scannavini -, l’auspicio è che ci sia un recupero sul fronte degli investimenti italiani all’estero davanti al rischio di una forte crescita dei dazi, che porrebbe difficoltà alle imprese non presenti sui mercati che si chiudono».
Dove cresce e dove arretra
Negli ultimi anni le quote di mercato mondiale delle esportazioni italiane sono aumentate soprattutto negli Stati Uniti, Giappone, Cina e Hong Kong e in alcuni paesi dell’UE come il Belgio. Sono invece diminuite in Turchia, in Romania e anche in Germania, sia pure in misura contenuta. Tra i principali settori che hanno trainato la crescita delle esportazioni italiane spicca quello farmaceutico (+16% sul 2016), seguito da metallurgico (+9,9%) e prodotti chimici (+9%). Nel settore dei mezzi di trasporto il principale comparto si è confermato quello degli autoveicoli (+9,6%), al di sopra del tasso medio degli ultimi 5 anni. La meccanica (macchinari e apparecchiature), che realizza quasi il 18% delle esportazioni italiane, ha fatto invece registrare una crescita del 5,4%, inferiore alla media dei settori. Tra i principali settori del made in Italy, emerge l’accelerazione dell’industria alimentare (+7,5%); il sistema moda ha invece mostrato una crescita più contenuta (articoli di abbigliamento +4,7%, articoli in pelle +5,9%).
La nuova “via della seta”
«Abbigliamento e calzature sono i settori italiani più radicati in Cina. L’arredamento sta conquistando quote di mercato significative. Il food cresce, ma i margini di sviluppo sono enormi», osserva Scannavini. La vera sfida per le imprese italiane è però rappresentata dall’ambizioso programma di investimenti infrastrutturali del governo cinese, denominato “Belt and Road Initiative”: la “nuova via della seta”. «Le opportunità per l’economia italiana non si limitano alla possibilità di partecipare alla costruzione delle nuove infrastrutture – conclude Scannavini -, ma investono tutti i settori industriali».
Fonte: Affari e Finanza – La Repubblica