L’Unità
La crisi dell’agricoltura e le regole condivise futuro del settore legato a nuovi modelli produttivi e reciprocità delle norme sui mercati. Nell’ultima settimana è esploso con forza il tema delle massicce importazioni di riso che l’Italia effettua dai Paesi in via di sviluppo e che, secondo l’intera filiera del comparto, rischiano di mettere in ginocchio la risicoltura nazionale. A essere finite nell’occhio del ciclone le importazioni da Paesi extra Ue che rientrano infatti nell’ Eba, un’iniziativa dell’Unione Europea in base alla quale tutte le importazioni verso l’Ue, provenienti dai paesi meno sviluppati, sono prive di dazi e contingenti tariffari.
La sola produzione cambogiana nell’ultimo quinquennio è passata da 5mila a 180mila tonnellate. «Quella a tutela del riso italiano è una battaglia giusta, che condividiamo e combattiamo al fianco dei nostri produttori – ha dichiarato il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina. L’Italia ha già sollevato in sede comunitaria il problema delle importazioni a bassissimi costi che provocano squilibri di mercato. Abbiamo inviato a Bruxelles un documento messo a punto con il Mise con il quale chiediamo alla Commissione di avviare la procedura per l’attivazione della clausola di salvaguardia». Positiva l’azione del governo nel monitorare i flussi e i trend delle importazioni che, ovviamente, non devono e non possono assumere un peso in grado di squilibrare, attraverso benefici fittizi, i generali meccanismi di mercato andando a colpire produzione e consumi nazionali. In questo contesto molti hanno chiesto a gran voce la reintroduzione di politiche protezionistiche e, in particolare, di maggiori dazi in entrata. Un tema questo molto contraddittorio su cui è bene riflettere per un semplice motivo: in questi anni il boom del Made inltaly è stato possibile anche grazie al progressivo allentamento delle barriere che, attraverso i trattati internazionali condotti dall’Europa, ha permesso a molti prodotti italiani di arrivare nelle tavole di mezzo mondo. Per ottenere questo l’Italia ha sempre espresso una linea politica chiara, impegnandosi ad abbattere, là dove possibile, gli ostacoli per il libero scambio delle derrate alimentari anche grazie al sostegno di molte organizzazioni di settore. Ed ecco allora che certe politiche protezionistiche che oggi pensiamo di imporre non rappresentano – al di là del singolo caso limite come quello del riso cambogiano – un bel segnale politico per l’Italia e per l’Europa. Soprattutto in vista del trattato di libero scambio con gli Usa che, come è noto, chiede un accesso libero delle merci europee senza quegli odiosi vincoli, soprattutto tariffari e sanitari, che costringono mozzarelle, prosciutti e mortadelle a superare difficoltà immani.Il nostro obiettivo, nel villaggio globale del 2014, non può essere rappresentato da barriere, bensì dalla ricerca di buone regole condivise. «Data l’importanza dell’export per il nostro comparto agroalimentare, è necessario lavorare per ottenere la reciprocità delle regole – ha ribadito Paolo De Castro, coordinatore S&D della Comagri – ovvero che il prodotto importato dall’estero rispetti le regole eh e vigono all’interno dei confini nazionali e europei». Regole in grado di tutelare produzioni sostenibili e di qualità, regole condivise che, invece di vietare, rappresentino un’opportunità, imponendo la reciprocità del diritto per tutti i soggetti attivi nel mercato globale. A spingerci verso questa soluzione funzionale all’export dovrebbe essere anche la crisi dell’intero mercato europeo. Dirompente, per esempio, in queste settimane la crisi del mercato della frutta estiva, in particolare per l’Italia quella delle pesche e nettarine e degli agrumi. Frutti pagati tra i 20 e i 40 centesimi al chilo, meno della metà dello scorso anno, e agricoltori pronti a cessare attività che non sono più in grado di sostenere. Un tema che coinvolge tutta l’Ue – come ha dichiarato Maurizio Martina – infatti l’Italia è capofila, insieme a Francia e Spagna, di una richiesta alla Commissione per interventi extra-ordinari». «Oltre alle misure che gli Stati membri potranno attivare attraverso i programmi operativi delle Organizzazioni dei produttori (Op) perla gestione delle crisi – ha ricordato De Castro a margine dell’incontro con il commissario Ciolos – la Commissione valuterà ulteriori azioni di sostegno per i settori interessati». Insomma, fra una produzione sovrabbondante di pesche che innesca una forte diminuzione del prezzo di acquisto e l’impossibilità di reggere la concorrenza del riso, occorre, da un lato, puntare sull’introduzione di regole reciproche nei mercati internazionali e, dall’altro, rivedere modelli produttivi che in tempo di crisi manifestano tutta la loro inefficienza. In questo senso sarà fondamentale integrare le filiere per permettere una corretta organizzazione che parta dal campo fino alla tavola.