Superata l’Italia che adesso è in terza posizione nella classifica dei produttori di passata, dietro a California e Cina. Denuncia di Scordamaglia a Bruxelles: «Aumentano le frodi. Dumpingper via della scarsa attenzione ai diritti umani nello Xinjang. Vietiamo le importazioni».
Il World processing tomato council, l’associazione internazionale che raccoglie i Paesi produttori di pomodoro e di passata ha reso pubblici i dati del 2022 e le stime per l’anno in corso.
La California, che da sola vale quasi quanto gli interi Stati Uniti, resta al primo posto con 9,5 milioni di tonnellate di concentrato di salsa rossa e si proietta a chiudere il 2023 a quota 10,9. Un record assoluto.
Il problema è che l’Italia scende dal secondo al terzo posto scalzata dalla Cina. La nostra passata valeva nel 2021 6 milioni di tonnellate, nel 2022 5,4 e forse chiuderemo l’anno con 5,6 milioni di tonnellate. Il Dragone, invece, è passato dai 4,8 del 2021, ai 6,2 del 2022 e si stima che terminerà il 2023 con ben 7,3 milioni di tonnellate.
Al di là della classifica, la notizia è un problema su più punti di vista. Basti pensare che il prezzo del pomodoro italiano viaggia sui 150 euro alla tonnellata e quello del concentrato sui 2.000 euro. Il prezzo del pomodoro cinese sia fresco che lavorato è esattamente la metà.
Una concorrenza insostenibile che causa effetti negativi a catena. Primo fra tutti l’aumento delle truffe e delle contraffazioni. «Abbiamo intensificato le denunce», spiega a La Verità Luigi Scordamaglia, presidente di Filiera Italia, «e ottenuto interventi di polizia e condanne penali. Chiaro il divario di prezzo facilita le attività illegali, ma ciò che preoccupa è anche il drastico aumento dell’utilizzo del concentrato cinese in filiere legali». Il riferimento è all’uso del prodotto del Dragone nei cibi che non richiedono l’etichetta di origine. Cibi serviti al ristorante o nelle pizzerie. Per di più tramite un sistema di perfezionamento attivo è sempre più difficile identificare le percentuali esatte di diluizione del concentrato.
Ma c’è dell’altro. «Il fenomeno più grave», prosegue Scordamaglia, «lo stiamo riscontrando tra quelle multinazionali che per anni avevano bandito il prodotto cinese considerandolo non all’altezza degli standard qualitativi ed etici. Adesso stanno cambiando i protocollo. Non si resiste alla forbice di prezzo e quindi il concentrato cinese ora fa gola per i margini che riesce a garantire e per il fatto che le etichette non ne indicano la provenienza».
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Fonte: La Verità
Crediti foto: Food