L’eccesso di informazione nel mondo del food che si è registrato negli ultimi anni rischia di disorientare i consumatori e di penalizzare le imprese del settore.
Nel contesto globalizzato che stiamo vivendo, il tema dell’alimentazione è diventato così complesso che è difficile pensare di comprendere le varie dinamiche senza l’aiuto di figure esperte e credibili. E invece certe forme di comunicazione in cui ci imbattiamo quotidianamente affermano l’esatto contrario: tutti possono essere portatori della “ricetta” miracolosa o del consiglio giusto.
In pochi anni, nel settore food, si è venuto a creare, grazie alle tecnologie ma non solo, un surplus informativo che ha determinato per la società due dinamiche nefaste: da un lato l’aumento della produzione alimentare, con conseguenze dirette sia sullo spreco sia sull’inquinamento ambientale, dall’altro un problema di salute pubblica determinato da un eccesso di alimentazione e da stili alimentari errati.
Lo spreco alimentare rappresenta uno dei principali paradossi e nonostante questo ancora non esiste una consapevolezza diffusa su come affrontarlo giorno per giorno. Uno degli aspetti da risolvere su cui possiamo incidere nella nostra quotidianità è sicuramente l’ottimizzazione dei consumi alimentari. E non solo in termini di spreco, ma anche di benessere. Entrambi infatti rappresentano due facce della stessa medaglia: una corretta cultura del cibo. Una cultura sana non può prescindere da informazioni corrette, da un sistema di notizie verificato e verificabile che si fa punto di riferimento in mezzo all’attuale vortice di dati dalla natura incerta che, paradossalmente, finisce per creare un vero e proprio “spreco” di informazione.
Da una parte, come ha testimoniato anche EXPO, se la ricchezza di informazioni sull’alimentazione è un patrimonio inestimabile per guardare al futuro, dall’altra la proliferazione incontrollata di notizie in cui ci imbattiamo tutti i giorni su social network, media improvvisati e blog di fantomatici esperti, crea una forte confusione e, di conseguenza, una degenerazione delle nostre abitudini alimentari e della nostra incerta cultura sul cibo.
Food Mania
Come ricorda Antonio Belloni nel suo libro Food Economics solamente in Italia il cibo è tema di 70 programmi Tv, 100 siti web, 110 testate stampa e 25 mila blog, raggiungendo un parco consumatori mensile di 35 milioni di utenti. Un censimento in difetto questo perchè ogni giorno assistiamo ad un vortice nuovi eventi di difficile calcolo perché come afferma Nicoletta Polliotto, esperta di comunicazione e co-autrice del libro Ingredienti di Digital Marketing per la Ristorazione, il cibo ha invaso la nostra vita: siamo in piena ‘food mania’. Il food si è evoluto da bisogno primario a oggetto del desiderio e di riscossa sociale, poi status symbol, fino a questo ruolo da master nella scena mediatica, su carta stampata, in tv, editoria, web e social network. E ne siamo divenuti tutti un po’ schiavi. Assistiamo a un condividere compulsivo di foto di piatti sui social media o sulle piattaforme di messaging e di Food Selfie mentre addentiamo e sorseggiamo”.
Come conferma una ricerca, pubblicata sul Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics, a cura di Eric Robinson, PhD all’Università di Liverpool, le abitudini delle persone che ci circondano sono in grado di incidere su qualità e quantità della nostra dieta. «Sembra che in alcuni contesti conformarsi a certi standard alimentari sia un modo per rimarcare la propria appartenenza sociale a un gruppo». Un legame particolarmente forte che ha trovato terreno fertile nel lato social del web nato e cresciuto per consacrare “la conversazione” come il luogo di creazione di significato: Facebook, Tripadvisor, i (Food)Blog sono ormai punti di riferimento sul cibo per tante persone.
Cibo & Social Media
In Italia, oltre 1 un utente Facebook su 2 è interessato al mondo del cibo: quasi 10 milioni di utenti seguono argomenti inerenti alla cucina, 6,3 milioni si interessano alla ricette, 7 milioni condividono informazioni su locali e ristoranti.
“Questo fitto scambio di informazioni commerciali dal basso – dichiara Alex Giordano, Docente Marketing, Comunicazione e Pubblicità presso l’Università Federico Secondo di Napoli e co-fondatore di Ninjamarketing.it – non è altro che quello che la teoria del marketing contemporaneo chiama ‘passaparola digitale’. All’indomani di Expo e in anni in cui la dimensione critica del sapere intorno al cibo sembra essere sempre crescente, dovrebbe farci pensare che la maniera con la quale la maggior parte degli internauti si relaziona al cibo è appellandolo #foodporn. Forse è il momento che l’uso di strumenti e modalità di narrazione digitale non sia solo nelle mani degli operatori di mercato ma che finisca nelle mani dei cittadini. Bisogna creare una nuova mitologia, quella di un cibo sano, nutriente e sostenibile. Abbiamo bisogno che il digital storytelling cominci ad essere realmente lo strumento di nuove narrazioni collettive così come fu per le tradizioni orali.”
Di come le imprese possano utilizzare questi strumenti ci dicono qualcosa anche due casi che riguardano Tripadvisor e Yelp, i due colossi digitali legati, soprattutto, alle recensioni dei locali. Poco più di un anno fa Tripadvisor si è visto recapitare dall’Antitrust 500mila euro di multa per “recensioni tendenziose”. La multa è stata annullata dal TAR del Lazio, ma la motivazione non cambia molto la sostanza: “Tripadvisor – si legge nella sentenza – non ha mai asserito che tutte le recensioni sono vere”. Molto singolare è il caso che ha riguardato Yelp e due ristoratori toscani residenti negli Usa. Per dimostrare che il social network punisce chi non compra pubblicità, i due ristoratori hanno iniziato a chiedere ai clienti rimasti soddisfatti di lasciare giudizi negativi sulla piattaforma. Una risposta goliardica e al contempo risoluta. La strategia funziona, il locale tocca il fondo delle classifiche Yelp, continuando ad essere pieno, e trionfa sui media, arriva all’Onu e interessa i produttori di cinema. Il sistema di affidabilità della piattaforma va in tilt.
“Il web è un media democratico – conclude Nicoletta Polliotto – basta non cadere nella rete che lo scorso anno ha evocato Umberto Eco con la sua dichiarazione lapidaria, ritengo provocatoria: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Imbecille non è lo strumento, ma il modo in cui possiamo utilizzarlo”. E infatti non è tanto il mezzo che crea il problema, bensì i contenuti e i soggetti della comunicazione.
Quello che è necessario per tornare ad un’informazione equilibrata, portatrice di una corretta cultura del cibo, è in primis garantire a tutti un’educazione alimentare di base attraverso una formazione scolastica più efficace; occorre poi creare un sistema informativo governato dalle istituzioni scientifiche che possa rappresentare una vera e propria bussola.
Sembrerebbe ridicolo attuare delle protezioni in questo settore come avviene ad esempio in quello farmaceutico. Ma, se consideriamo il danno effettivo che questa disinformazione alimentare reca alla nostra società sia in termini sanitari che ambientali, risulta evidente che dovremmo tutelarci nel delicato tema della “nutrizione sostenibile”, che sempre più velocemente torna al suo potente significato di difesa della vita.
Mauro Rosati
Direttore Generale Fondazione Qualivita