“Non c’è protezione nel protezionismo”. Il messaggio che Jean-Claude Junker ha lanciato ieri da Tokyo non era solo un modo per presentare il più importante accordo commerciale siglato dalla UE. Perché il Jefta, la maxi-intesa con il Giappone – che si estende anche a una più vasta partnership strategica per ribadire l’importanza delle istituzioni multilaterali come ONU e G7 è stata firmata proprio all’indomani del summit UE-Cina. Un appuntamento, quello di Pechino, che ha sancito un’inedita alleanza per rivedere le regole del commercio globale. L’invito è stato esteso – e subito accettato – anche ai «nuovi alleati» di Tokyo. Ed è con la forza di questa alleanza con l’Est che il prossimo 25 luglio il presidente della Commissione europea volerà a Washington. Per discutere con Donald Trump delle barriere commerciali e per ripetere le parole di ieri: «Non c’è protezione nel protezionismo».
L’accordo sul Jefta è arrivato dopo circa quattro anni di negoziati. Meno di quelli serviti per l’intesa con il Canada (CETA), nonostante la maggiore portata. A dare un’accelerata alle trattative è stato proprio l’approdo del tycoon alla Casa Bianca. Anche se il premier giapponese Shinzo Abe ancora considerava ancora come «privilegiato» l’asse con gli Stati Uniti, il gesto che ha fatto cambiare idea al Paese del Sol Levante è stato il ritiro di Trump dal partenariato trans-pacifico (TTP), uno dei suoi primi atti da presidente degli Stati Uniti d’America.
Nel gennaio del 2017 i consiglieri di Abe avevano così chiamato Juncker per chiedergli di riprendere con urgenza i negoziati sul JEFTA, con l’obiettivo di chiudere entro l’estate dello stesso anno. I contatti si sono fatti sempre più intensi tra le due delegazioni e il ritmo della trattativa è stato accelerato. Tanto che il 6 luglio di un anno fa è stata raggiunta l’intesa di massima, finalizzata nello scorso aprile e firmata ufficialmente ieri.
Non è stata una passeggiata, perché le due squadre di negoziatori si sono scontrate su diversi punti. Da una parte il formaggio europeo, dall’altra le automobili giapponesi. Interessi contrapposti, per i quali non è stato assolutamente facile trovare una sintesi. Bruxelles chiedeva di abbattere i dazi su alcuni fiori all’occhiello della sua industria lattiero-casearia, come il Gouda Holland IGP e il West Country Farmhouse Cheddar DOP, visto che l’Europa rimane il leader indiscusso in questo settore. E insisteva per far riconoscere una lunga lista di IGP, tra cui molti prodotti italiani.
Dall’altro lato, però, Tokyo spingeva per una maggiore apertura del mercato automobilistico. I produttori europei – che temono la concorrenza nipponica – hanno puntato i piedi e sono riusciti a ottenere uno scivolo che vedrà un abbattimento graduale delle tariffe nel giro di sette anni. Stesso discorso, sul fronte opposto, per le calzature: Tokyo abbasserà subito i suoi dazi dal 30% al 21%, ma per l’eliminazione completa bisognerà attendere dieci anni. Anche sulla questione dell’accesso agli appalti l’Europa si è dovuta accontentare di un compromesso al ribasso, considerato comunque migliorativo rispetto alla situazione attuale.
Fonte: La Stampa