Secondo gli esperti serve una visione allargata all’intera filiera. L’Italia è già a buon punto del cammino verso il biologico, ora occorre spingere sull’innovazione tecnologica e sulla trasparenza per certificare l’effettivo valore con regole comuni.
Cibo e sostenibilità: se l’attenzione aumenta e la strada sembra ormai segnata, è il momento di passare dalle parole ai fatti.
«Una vera e propria fame di sostenibilità emerge prepotentemente e in modo costante nelle scelte di consumo più recenti. Ad essa bisogna rispondere in modo chiaro», dice Eloisa Cristiani, docente di diritto ambientale e agroalimentare all’Università Sant’Anna di Pisa. Ma quali sono le leve per promuovere un consumo più consapevole e rispettoso del pianeta? I principi sono scritti nero su bianco nell’obiettivo 2 dell’Agenda Onu 2030 e tradotti a livello europeo nella strategia “From farm to fork” (“Dal produttore al consumatore”) presentata nel maggio 2020 dalla Commissione Ue in attesa di un Regolamento specifico nel 2023.
Per tradurre nella realtà questi principi gli addetti ai lavori non hanno dubbi: serve uno sguardo all’intera filiera agroalimentare con un’accelerazione del biologico e dell’innovazione in campo agricolo, ma anche una maggiore trasparenza e sforzo in comunicazione con un’etichetta sostenibile unitaria.
«Le frenate nel percorso di sostenibilità in seguito al conflitto in Ucraina – fa notare Paolo Sckokai, direttore del dipartimento di economia agroalimentare dell’Università Cattolica di Piacenza – sono dovute alla gestione dell’emergenza legata ai prezzi dei prodotti alimentari ma non mettono in discussione la marcia verso la sostenibilità della filiera agroalimentare, che in Italia, tra l’altro, è già a buon punto».
Il nostro Paese, ricorda Sckokai, «è tra i primi nella Ue come incidenza della superficie coltivata a biologico sul totale: 16,6% contro una media europea dell’8,6. Siamo a due terzi del cammino verso l`obiettivo del 25% entro il 2030, peraltro non vincolante, della Strategia europea». Non solo. «Tra il 2016 e il 2020, gli ultimi dati disponibili – rileva il docente citando l’Istat – l’uso di fertilizzanti è stato ridotto del 14% rispetto alla media 2010-2015, quello dei pesticidi del 13% nello stesso periodo con una resa media stabile o in crescita». L’agricoltura sostenibile, chiarisce, «non è un ritorno al passato ma una proiezione verso il futuro. Per un’ulteriore accelerazione in chiave sostenibile occorre un maggior ricorso alla tecnologia con l’agricoltura di precisione a minor impatto ambientale. Per farlo servono investimenti che aiutino gli agricoltori a compiere questo salto, anche grazie all’ausilio del Pnrr».
Anche per Giulia Bartezzaghi, direttrice dell’Osservatorio Food sustainability del Politecnico di Milano, «l’innovazione è la condizione per una trasformazione virtuosa e duratura del sistema agroalimentare, che deve essere favorita dal quadro legislativo. Il sistema delle imprese può dare un contributo significativo». Nell’ultimo aggiornamento del 2021 l’Osservatorio ha identificato 1.808 start up a livello mondiale che stanno sviluppando soluzioni per la sostenibilità alimentare. «Il 17% del campione – spiega Bartezzaghi – punta all’utilizzo efficiente delle risorse naturali impiegate nei processi produttivi, con la riduzione di materiali e prodotti chimici e il miglioramento delle sementi, investendo nell’agricoltura di precisione. Il 12% propone soluzioni per aumentare la produttività e la resilienza ai cambiamenti climatici. Questi trend si stanno confermando anche nel 2022». Luci, ma anche e ombre. La strategia “Dal produttore al consumatore”, fa notare Bartezzaghi, «rappresenta un’opportunità importante per guidare la transizione verso un sistema alimentare più equo e sostenibile con obiettivi che riguardano l’intera filiera dalla produzione al consumo».
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Fonte: Il Sole 24 Ore