Potremmo definirla «Nebbiolomania». I dati di fine anno in arrivo dal mercato dei vini prodotti col vitigno che ha trovato il suo habitat naturale sulle colline di Langhe e Roero sono più che lusinghieri. +6% le bottiglie sigillate nel 2016 di Barolo DOP, più 5% quelle imbottigliate di Barbaresco DOP e addirittura più 10% quelle del Langhe DOP, la denominazione «di ricaduta» che sta riscuotendo grande successo in tutto il mondo. Dal l° gennaio hanno fatto il loro debutto anche le nuove annate, sebbene sugli scaffali delle enoteche e nei ristoranti non si troveranno ancora per qualche mese: si tratta del Barolo DOP 2013 e del Barbaresco DOP 2014. Sono oltre 18 milioni di bottiglie dei due nebbioli più pregiati, così divise: 13,9 milioni per il Barolo DOP 2013 e 4,3 milioni per il Barbaresco DOP 2014, a cui si aggiungono oltre 5 milioni di bottiglie di Langhe DOP e 2,3 milioni di un’altra storica denominazione ora in calo, il Nebbiolo d’Alba DOP.
Altri indicatori utili a tracciare un quadro positivo: l’export è arrivato ad assorbire oltre il 75% della produzione e il valore del vino sfuso continua a crescere. Il Barolo DOP ha superato la soglia degli 8 euro al litro, il Barbaresco DOP è oltre quota 5 euro. Senza scordare che il 2016 sulle colline di Langa sarà ricordato come l’anno delle vendite stellari di alcuni tra i «cru» più pregiati e della cessione della cantina Vietti al gruppo americano Krause, eventi che hanno fatto salire le quotazioni dei vigneti oltre il milione di euro a ettaro. «Le Langhe stanno indubbiamente vivendo un momento fortunato – dice il presidente del Consorzio di tutela del Barolo e Barbaresco DOP, Orlando Pecchenino -. Il Nebbiolo è ormai riconosciuto come uno dei più grandi vitigni al mondo e ciò sta portando benefici anche a denominazioni come la Barbera e il Dolcetto o a nuove realtà come l’Alta Langa. La scommessa è far salire il valore delle etichette, con coerenza e senza creare fuochi di paglia. Le aziende stanno investendo molto ed è pur vero che, se ci sono mercati maturi come Stati Uniti, Giappone e Nord Europa, abbiamo ancora molti Paesi da esplorare. Ciò che fa ben sperare è l’alta professionalità dei nuovi imprenditori del vino: i giovani sono molto preparati, sia dal punto di vista tecnico che manageriale. L’improvvisazione di qualche decennio fa è ormai alle spalle».
Fonte: La Stampa