Il radicchio è un’invenzione italiana ed è riconosciuto come un’eccellenza del made in Italy a livello mondiale.
Piace così tanto che il 20% della produzione (circa 27omila tonnellate annue) finisce sui mercati esteri, dov’è anche massicciamente “imitato”, e l’export continua a crescere, tanto da essere raddoppiato nei primi nove mesi del 2021, toccando i 5 milioni di euro (fonte Fruitimprese Veneto). E così, probabilmente, lo conoscono più a Berlino che a Roma: è il paradosso del radicchio, la versione nobile della comune cicoria, quella che in Veneto è diventata la testimoniai della produzione orticola regionale. Già perché nella “California del radicchio” si concentra oltre la metà dei circa 14mila ettari che si stima siano destinati a questa produzione in Italia (non esiste ancora un catasto ufficiale, nonostante la richiesta dell’interprofessione nazionale, ndr) e, soprattutto, il 100% delle quattro tipologie tutelate dalla IGP (di Treviso, Verona, Chioggia e variegato di Castelfranco).
Comprensibile che anche i consumi siano fortemente radicati nel Nord-Est, dove si concentrano il 42% degli acquisti nazionali di radicchio, rivela un report di Cso Italy. «Qui se ne compra ben più della media nazionale, che è superiore a 4 kg annui per un parco acquirenti di n milioni di famiglie», spiega Daniela Granata, senior consultant di Gfk Italia. Con poco più di 47mila tonnellate acquistate nel canale domestico, però, il radicchio rappresenta solo il 2% delle quantità di ortaggi comprate dagli italiani. «Fuori dal Nord, i consumi sono molto bassi e toccano il minimo al Sud, dove il tasso di penetrazione è del 30% contro il 75% del Nord-Est conferma Cesare Bellò dell`organizzazione di produttori Opo Veneto -. Nel Centro-Sud più della metà delle famiglie non conosce le caratteristiche che rendono unici i radicchi veneti».
Per questo è appena partita una campagna di promozione e comunicazione promossa dall’Organizzazione interprofessionale Ortofrutta Italia, con il patrocinio del ministero delle Politiche agricole. Di informazione c’è bisogno, a partire dai nomi con cui viene venduta questa orticola, il cui valore al consumo è stimato in oltre 750 milioni di euro: sono cinque quelli relativi ad altrettante tipologie di radicchio (come il tondo e il variegato) e quello più venduto in Italia, ossia il lungo, coltivato anche in Marche e Abruzzo, è spesso definito “Treviso” anche se chiamarlo così è frode commerciale perché allude all’IGP da cui è partito il fenomeno radicchio.
Infatti, è stato introducendo e perfezionando la tecnica dell’imbianchimento, selezionando i semi autoctoni in modo naturale e approfittando delle acque di risorgiva del Sile, che a fine Ottocento è nato il radicchio tardivo di Treviso: l`unica cicoria che arriva fresca sul mercato dopo 15-2o giorni dalla raccolta e dopo un`accurata toelettatura che la alleggerisce del 70% del suo peso.
«Il tardivo IGP arriva sul mercato in pieno inverno e questo è un valore in Europa, dalla Svizzera alla Gran Bretagna – afferma Denis Susanna, direttore del Consorzio di tutela del Radicchio di Treviso IGP– mentre è un limite nell’altro emisfero, anche se ci sono aziende che lo vendono persino in Australia». Se il business del Treviso fresco si gioca tutto in otto mesi, copre tutto l`anno quello dei prodotti alimentari trasformati o che lo usano come ingrediente.
Fonte: Il Sole 24 Ore