Sono tradizioni che non hanno prezzo, pur avendone uno. Ci sono storie di cucina, di tavola, di convivialità che raccontano non solo di cibo, ma di umanità, di persone. I grandi prodotti enogastronomici d’Italia sono lo specchio delle nostre vite, ci vediamo riflessi il cammino di un popolo e l’intelligenza artigianale costruita in anni di esperienza. Una di queste storie la racconta il San Daniele, senza «prosciutto» davanti. Non occorre. Il Patanegra, lo straordinario jamon spagnolo che viene da maiali cresciuti allo stato brado e nutriti di ghiande (bellota), non si sogna di chiamarsi prosciutto. Lo è. E così il San Daniele, un prodotto antico, come il piccolo paese (poco più di 8 mila abitanti) che, sul territorio comunale, ospita le 31 aziende che fanno parre del Consorzio, istituito nel 1961.
San Daniele è un borgo con molti tesori, non solo quelli che stagionano per tredici mesi. La storia d’Italia si annoda sempre a quella del cibo e le vie di questa cittadina sono ricche di antichi segni d’arte, come la Chiesa di Sant’Antonio Abate, patrono dei macellai e dei salumieri, con una facciata di gusto gotico-veneziano del 1470, ma di cui si hanno già tracce nel 1308.Perché un posto non è mai simile a un altro, nell’arte, nella vita e nel cibo? Perché diverse sono l’aria, l’acqua, la terra. E nel San Daniele, come in altri prodotti italiani DOP (questo dal 1996) il microclima è fondamentale: i venti delle Alpi Carniche si incontrano con quelli che salgono dall’Adriatico, mescolando sentori resinosi e salmastri in un microclima perfetto, dove umidità e temperatura vengono regolate dalle terre moreniche e dalle acque del Tagliamento – uno dei pochi fiumi europei a conservare il suo corso originario.
Fonte: Corriere della Sera