Da Barilla a Beretta, cosa le grandi industrie investono per controllare la produzione di materia prima di qualità. Made in Italy soltanto se la materia prima è « nata» in Italia? Nessuno ha mai sollevato questa critica nei confronti del caffè, che l’Italia non produce ma di cui è patria incontestata. Invece, pasta e salumi sono spesso finiti nel mirino. Eppure, precisano Aidepi e Assica – le rispettive associazioni di categoria – il grano italiano soddisfa il 50/60% del fabbisogno industriale così come la produzione di suini arriva a coprire il 60-65% delle richieste per fare prosciutti e salami.
La materia prima italiana, anche se fosse tutta della qualità necessaria per la pastificazione, non sarebbe sufficiente a soddisfare il fabbisogno produttivo. Va anche considerato il fatto che l’approvvigionamento del grano è soggetto a una serie di variabili, tra cui gli andamenti climatici che influiscono sul tenore proteico e la qualità del glutine».
Stesso discorso per i salumi. «La filiera dei salumi utilizza da sempre tutta la carne suina nazionale, che tuttavia non copre le necessità del settore – spiega Davide Calderone, direttore di Assica (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria) -. Per questo importa dai nostri partner comunitari il 35/40% della carne suina utilizzata nei salumi. Si tratta di una situazione strutturale, determinata dai limiti del nostro territorio. Per cui, per fare i grandi prosciutti DOP e le altre produzioni a denominazione di origine protetta si utilizza solo materia prima nazionale. Per le altre produzioni può essere utilizzata sia la materia prima nazionale sia la materia prima estera. Ma ciò che più conta veramente è la capacità dei nostri produttori, il saper fare italiano che si tramanda da generazioni».
Fonte: Corriere della Sera