Di recente si è tenuto il convegno “Il made in Italy agroalimentare e le Indicazioni Geografiche. Le strategie per spingere la crescita”, organizzato da Food Trend Foundation in collaborazione con Fondazione Qualivita, Origin Italia, oriGIn e Afidop
Levento è stato diviso in due panel: il primo ha affrontato il tema del ruolo della filiera DOP e IGP in Europa e in Italia, mentre il secondo quello della distribuzione e della finanza per le Indicazioni Geografiche. I prodotti certificati DOP e IGP hanno un impatto rilevante anche in termini di filiera, con evidenti riflessi socio-economici nei territori di produzione. Uno scenario evolutivo con mutamenti strutturati, sul mercato nazionale, che vede sempre più protagonista l’e-commerce alimentare, affiancato a una crescita del ruolo del discount, ma anche a una maggior attenzione nelle scelte di acquisto da parte dei consumatori ai prodotti DOP e del territorio, sostenibili e in grado di apportare benefici alla salute.
Un contesto in cui emerge come i player della GDO investano sempre di più su strategie di valorizzazione della private label (MDD) anche DOP. Durante il suo intervento Denis Pantini, responsabile agroalimentare Nomisma, ha affrontato diverse tematiche: il posizionamento dell’industria alimentare italiana nel mercato globale, il ruolo delle IG per il food&wine, il made in Italy e per i territori italiani, l’eredità del Covid sul mercato italiano con i cambiamenti in atto e il ruolo della GDO per le IG per concludere con le sfide future, le prospettive e i percorsi di sviluppo per le IG e l’industria alimentare italiana.
“È importante sottolineare la sinergia che c’è tra le indicazioni geografiche e il nostro food e il fondamentale ruolo che i prodotti a indicazione geografica giocano per lo sviluppo di tutto il settore agroalimentare, sia da un punto di vista economico ma anche sociale dei diversi territori”, precisa Pantini.
La rete alimentare italiana rappresenta la terza per fatturato a livello europeo, dopo Francia e Germania, inserita nella più grande industria alimentare mondiale, cioè quella dell`Unione europea, caratterizzata da valori economici maggiori rispetto a quelle cinese e americana. Secondo dati Nomisma su statistiche nazionali, il fatturato dell’industria del food&beverage nel 2019 vede al primo posto proprio l’UE con 1.260 miliardi di euro, seguita da Cina 1.054 miliardi di euro, USA 807 miliardi di euro, Giappone 280 miliardi di euro e Brasile 152 miliardi di euro.
“L’Italia deve guardare al mercato estero ancora di più di quello interno, per un semplice motivo: il mercato italiano è stazionario da diversi anni e, in prospettiva lunga, tenderà a diminuire, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione”, commenta Pantini. “Il dato interessante è che l’Italia negli anni è cresciuta tanto in termini di esportazioni di food & beverage arrivando a una propensione di circa il 25%. Ovvero, il 25% del fatturato dell’industria alimentare è ottenuto sui mercati esteri. Si tratta di una propensione in linea con quella francese, mentre le grandi industrie americane e cinesi sono più orientate a soddisfare il bisogno intero di una popolazione molto ampia e questo spiega perché la propensione all’export di questi Paesi sia molto bassa. L’export andrebbe migliorato, ma le filiere dei prodotti tipici sono molto polverizzate. La propensione all’export, infatti, varia in funzione di molti fattori, tra cui rilevanza del mercato interno ma anche dimensioni aziendali”.
Rafforzare gli asset intangibili – Mauro Rosati, direttore Fondazione Qualivita
“Attualmente ci sono 3.358 IG equiparate fra vini e cibo. Ci sono 240 bevande spiritose che col nuovo regolamento, da poco entrato in vigore, si vanno ad aggiungere alla grande famiglia delle IG e 5 vini aromatizzati. Dal 2010 al 2021 sono state quasi 800 le IG riconosciute. L’Italia è la prima con 181 denominazioni riconosciute. È una crescita in numeri molto importante, che non è solo merito delle imprese ma anche dell’impalcatura amministrativa ministeriale del nostro Paese.
Le IG valgono 1/5 delle esportazioni europee (75 miliardi di fatturato). Quindi non si sta parlando più di prodotti da biglietto da visita, ma che influiscono molto sulla bilancia dell’Europa. Soprattutto c’è stata una grande crescita del valore delle vendite delle IG rispetto ai prodotti comuni. Le IG non solo hanno portato notorietà, ma anche un valore economico a tutta l’Europa.
In Italia sono 180.000 le imprese certificate nella filiera agroalimentare, cioè che stanno dentro un piano di controllo, e soprattutto ci sono 285 Consorzi di tutela riconosciuti che hanno una funzione ufficiale. Se guardiamo all’export, vediamo che quello relativo al settore delle IG è aumentato molto di più rispetto a quello dell’agroalimentare in generale. Le IG coinvolgono tutte le regioni italiane con un impatto economico che vede al primo posto il Veneto e a seguire l’Emilia Romagna, la Lombardia, il Piemonte, la Toscana.
L’export vale 9,5 miliardi, quasi quattro miliardi il settore del food e 5,6 miliardi il settore del vino. Una mano alle IG viene anche dai prodotti trasformati. A oggi, sono 4.600 le autorizzazioni attive che, fra ministero e consorzi di tutela, danno la possibilità all’industria alimentare, ma anche a piccoli artigiani, di fare un prodotto con un ingrediente DOP e di valorizzarlo di etichetta. Questo vale 260 milioni di euro per le DOP e IGP e sul mercato supera il miliardo di euro.
A dimostrazione di come le DOP e le IGP possano essere utili all’artigiano e all’industria e soprattutto come possono essere destagionalizzate grazie ai prodotti trasformati. Le Indicazioni Geografiche non sono solo un valore economico. In questi anni sono riuscite a creare una connessione forte sugli aspetti sociali di tutto il territorio. In futuro le IG dovranno puntare sulla sostenibilità, anche grazie alla rete di Consorzi che, attraverso i disciplinari e i piani di controllo, possono influenzare la produzione sostenibile a cascata su tutte le aziende.
La crescita economica delle aziende è oggi legata alle risorse intangibili. Questo vale anche per le IG, che hanno un ingente “capitale intellettuale” ancora da valorizzare. Grazie a risorse intangibili, come la proprietà intellettuale, il capitale organizzativo e relazionale, il valore del marchio del Consorzio di tutela, possono essere valorizzate anche le PMI, per accedere al credito e per realizzare progetti che consentano loro di crescere anche nelle esportazioni.
Si tratta oltretutto di asset intangibili di origine, che non si possono delocalizzare. La patrimonializzazione corretta di tutte le imprese che fanno Indicazioni Geografiche potrebbe permettere una leva finanziaria per sviluppare la crescita. Solo patrimonializzando e finanziando le PMI agroalimentari di potrà aumentare il potenziale di offerta all’estero, dove le nostre IG sono molto richieste. Qualche altra considerazione: penso che sia importante per le imprese piccole o grandi finanziarie i consorzi, perché così facendo si autofinanziano, dando un valore di mercato attraverso le indicazioni geografiche molto più alto rispetto a essere un`impresa che non ha un`indicazione geografica. Ritengo infine strategico trasformare i disciplinari attuali in disciplinari di sostenibilità, perché l`Italia deve guidare il cambiamento, non subirlo, perché ha l`esperienza, i numeri e la qualità per farlo”.
Fonte: Il Latte