Premiato nel 2003 con il Nobel per l’Economia per i suoi studi sui rischi finanziari, negli ultimi anni Robert Engle ha affiancato la direzione del Volatility and Risk Institute della New York University, concentrandosi sulla valutazione dei rischi posti dalla crisi del clima.
I rischi climatici non venivano nemmeno presi in considerazione dal mondo finanziario una decina d’anni fa, ora è cambiato qualcosa?
«Moltissimo. Il rischio climatico è relativamente nuovo e quindi non ci sono serie storiche, come quelle che si usano per gli altri rischi sistemici, dalle recessioni alle crisi energetiche, ma avrà conseguenze così enormi che è diventato il rischio principale a cui stiamo andando incontro, per cui anche la finanza se ne occupa. Avrà un impatto non solo sulle vite di intere popolazioni, ma anche sull`economia mondiale e sugli scambi commerciali».
In che modo inciderà sul nostro futuro?
«Il rischio climatico si presenta sotto due forme principali. Da un lato i rischi fisici, con l`instabilità climatica, la fusione dei ghiacci, l`innalzamento dei mari, le alluvioni, la siccità e le temperature sempre più alte. La seconda forma sono i rischi di transizione, che ci assumiamo per ridurre la nostra impronta climatica attraverso la decarbonizzazione dell`economia, con l`effetto di rallentare alcuni settori e accelerarne altri»
Quale sarà il risultato?
«I settori che saranno più colpiti dai rischi fisici della crisi climatica sono l’agroalimentare e il turismo, quindi l`Italia, che eccelle in tutti e due, si troverà in prima linea. È vostro interesse spingere il più possibile gli altri Paesi sulla strada dell`Accordo di Parigi, altrimenti dovrete affrontare dei rischi economici altissimi».
E i rischi di transizione?
«I rischi di transizione si possono modellare bene, perché abbiamo già esperienza di transizioni economiche. Le società più colpite saranno chiaramente quelle del settore dei combusti- bili fossili, perché sono le prime responsabili delle emissioni di gas serra. Si tratta quindi di creare portafogli che incorporino questi rischi, evitando le aziende troppo esposte ai combustibili fossili, dai petrolieri alle industrie energivore non ancora decarbonizzate, e puntando invece su aziende verdi, basate sulle fonti rinnovabili, destinate ad apprezzarsi man mano che la crisi del clima diventerà più evidente».
Fonte: Corriere della Sera