L’export del Pecorino Romano DOP cresce in Europa, oriente e Canada. Ma cala negli Usa. La sfida futura del consorzio passa anche per l’oriente. E a incoraggiare la politica di espansione sono i dati delle esportazioni in Cina dove la crescita è significativa.
Stagione positiva per il Pecorino Romano DOP che chiude la campagna 2019-2020 con dati soddisfacenti e guarda alla Cina con molto interesse. Il consuntivo parla di una crescita nella produzione e nell’export verso i Paesi europei e in Canada, di un calo negli Stati Uniti, e di una crescita “importante” in Cina.
«Siamo riusciti a contenere le produzioni e tenere in equilibrio la crescita nonostante il latte destinato ai prodotti freschi da tavola durante il lockdown sia stato dirottato interamente sul Pecorino Romano DOP – dice Salvatore Palitta, presidente del Consorzio per la Tutea del Formaggio Pecorino Romano –. È stata una bella sfida dover gestire l’intero monte latte raccolto in Sardegna, non disperderlo, lavorarlo e destinarlo alla produzione. Ed è stata una scelta importante quella dei produttori di lavorare insieme e rafforzare i rapporti fiduciari, condividere scelte di mercato, valorizzare il prodotto sul mercato senza sottostare a pratiche svalorizzanti spesso tipiche del settore grattugia».
Nell’ultima campagna casearia, sono stati conferiti ai caseifici inseriti nel sistema di controllo del Pecorino Romano DOP 254 milioni di litri di latte con un incremento del 12 per cento rispetto allo scorso anno.
Per la produzione di Pecorino Romano DOP ne sono stati utilizzati 180 milioni, pari al 15 per cento in più rispetto allo scorso anno, per un totale di 309 mila quintali di formaggio prodotto. Quanto alle quotazioni, «il prezzo rilevato nella Camera di Commercio di Milano e aggiornato a ottobre va dai 7,30 ai 7,55 euro al chilo e risulta in costante crescita da febbraio-marzo 2019».
C’è poi il capitolo relativo all’export con dati positivi quando si parla dei paesi dell’Ue. Nel periodo che va da gennaio a giugno (con 30mila quintali) si registra un +9%, mentre nel Canada la crescita (con 2 mila quintali) è del 16 per cento. «I dati del Dipartimento per il Commercio estero americano ci segnalano che l’export verso gli Usa nel periodo gennaio-luglio segna invece un -28% (60mila quintali). Il dato statunitense è dovuto in buona parte al fatto che il valore è cresciuto di un dollaro al chilo – argomenta Palitta – elemento determinante in un mercato estremamente sensibile ai prezzi, soprattutto in alcuni segmenti».
Il segno negativo non sembra, comunque, impensierire il manager del Consorzio. «Questo dato non ci preoccupa, perché in questo modo diminuisce la dipendenza quasi totalitaria da quel mercato e dal suo andamento – argomenta -. Basti pensare che prima l’export verso gli Usa si attestava a oltre il 70 per cento e ora siamo fra il 40 per cento e il 50 per cento». [continua]
Fonte: Il Sole 24 Ore