Consolidare la crescita e preservare l’equilibrio sul mercato. Il sistema del Parmigiano Reggiano DOP si interroga: nel 2o11 sono state commercializzate 3.000.000 di forme al prezzo medio di 10,76 euro/ kg, cosa succederà nel 2017 con un quantitativo salito a 3.470.000? Adesso «le quotazioni all’origine si attestano sui lo euro al chilo», conferma soddisfatto il presidente del Consorzio Alessandro Bezzi, ma questo formaggio ci ha abituato a forti fluttuazioni passando da 7,8o euro al chilo nel 2007 a 11,50 nel luglio 2011 per poi ridiscendere a 7,65 nel 2015. Quindi la parola d’ordine è «mantenere alto il flusso della domanda per garantire stabilità, valorizzando il prodotto soprattutto all’estero e segmentando l’offerta». Cambia lo scenario al passo con la riorganizzazione e la razionalizzazione dei costi. Scompare l’allevatore con poche decine di capi (una stalla ne conta in media 83) e cala a 339 il numero dei caseifici (-21 sul 2015), che oggi sono molto spesso guidati da consorzi di allevatori. «Si punta alla distintività del prodotto» prosegue il numero uno degli oltre 3.000 allevatori. D’altronde è già un successo il Parmigiano Reggiano DOP stagionato in montagna (700.000 forme nel 2016), con un balzo dei caseifici certificati da 7 a 33 in un solo anno. «Contiamo – dice — di coinvolgere presto tutti i caseifici montani, che sono 99 e oltre a ravvivare zone a rischio abbandono offrono caratteristiche qualitative particolari sempre più apprezzate dal consumatore consapevole, dalla Gdo e all’estero». Cresce pure il biologico e va oltre le 70.00o forme prodotte negli ultimi dodici mesi.
«L’obiettivo è traguardare la soglia delle 100.000 entro due anni» aggiunge il direttore Riccardo Deserti. Che dire poi dell’ultra-stagionato? Va bene la vendita del trenta-trentadue mesi con una «produzione annua sulle 400.000 forme». La domanda estera chiede persino «l’Ogm-free» e «il Kosher», una super nicchia fortemente voluta dagli ebrei ortodossi. Segnali positivi arrivano dalle vendite del confezionato, «che rappresenta i due terzi della produzione complessiva (nel Duemila si fermava a un terzo), ossia 1.700.000 forme trasformate in porzioni e 400.000 in grattugiato», precisa il dg. Insomma, un’offerta talmente variegata da indurre il Consorzio a investire 15.000.000 euro nel prossimo quadriennio per comunicare al meglio la segmentazione e gli elementi di distintività. Tra i nodi al pettine c’è un’alleanza, forse, con il Consorzio Grana Padano. Però Bezzi frena: «Ci dividono due territori diversi e qualità organolettiche che vanno divulgate separatamente; ci uniscono politiche comuni tese a valorizzare i piani produttivi in ambito Ue e contrastare i falsi nel mondo. Guardando il bilancio cita un dato: «Solo nel 2016 il Consorzio ha speso 800.00o euro nella lotta alla contraffazione e all’Italian sounding attraverso agenzie dislocate in più di venti paesi che effettuano costanti controlli, ispezioni e verifiche».
Quali le prospettive future? «Ci sono spazi di crescita sul mercato interno, nel dettaglio tradizionale e nelle vendite dirette (anche on line) da parte dei caseifici. Stabili le vendite all’interno della Gdo, in presenza di una flessione degli altri formaggi duri Dop e di una crescita dei prodotti similari non Dop del 2%». Tuttavia, gli occhi sono puntati sull’export dove si spera di veicolare i14550% del fatturato entro il 2020. Con gli Usa in testa, Trump permettendo. Giulio Ghiaroni, allevatore bio e socio della Casearia Sant’Anna di Anzola Emilia (Bologna), 1.20o capi in mungitura e 18.000 forme prodotte ( 1696 sul 2015), vende da Dubai alle isole Cayman.
Quota d’export? Il 60% in tendenziale aumento. A fine estate inaugurerà l’annesso laboratorio di trasformazione per fare scaglie, petali e merendine; in parte con certificazione Bio Suisse perché, spiega, «consentirà di guadagnare spazi di mercato importanti in Svizzera dove vige uno specifico regolamento sul biologico». Guarda lontano senza tralasciare la dimensione nazionale Luca Marcora, produttore bio di montagna, 5-6 forme al giorno nell’Alta Val di Taro sull’Appennino parmense. Germania, Svizzera, Inghilterra e Usa sono le priorità. «Mi aspetto che alla crescita delle aziende, incluse quelle in conversione, corrisponda un giusto prezzo e che si defluisca nel breve una regolamentazione specifica per il Parmigiano Reggiano DOP bio».
Fonte: Corriere Imprese