Dopo lo scandalo della carne di cavallo, i produttori Dop aprono al kosher certificato
Il Made in Italy si converte alla religione per accedere a due importanti mercati come quello arabo ed ebraico; infatti sono molte le aziende alimentari italiane che negli ultimi anni si sono dotate delle certificazioni halal e kosher per avvicinare al proprio mercato i circa 1,5 miliardi credenti di religione musulmana ed i circa 20 milioni di religione ebraica in tutto il mondo. Secondo le ultime stime, nel mercato europeo il business dei prodotti halal sfiora i 50 miliardi di euro di cui 5 miliardi solo in Italia.
Sicuramente le multinazionali del Food&Beverage sono state le prime a battere la strada delle certificazioni etiche creando linee di prodotti ad hoc come la Nestlé con la linea Snack, la Baskin Robbins, con la produzione di gelati, dessert e torte gelato o la Campbell soup, relativamente alla fornitura per ristoranti vegetariani. Ma forse il caso più recente è quello di McDonald’s, marchio simbolo dell’ hamburger, che sta cambiando drasticamente pelle, diventando addirittura vegetariano, per un obiettivo economico non da poco che si chiama India. Presto l’apertura di due punti di ristoro esclusivamente vegetariani, posizionati in due città strategiche per il flusso di persone che le visita ogni anno. Ad essere più precisi, già da adesso il menu di Mc Donald’s in India non propone né carne di maiale né di manzo, ma piatti a base di pollo o pesce e, nel caso del menu vegetariano, per evitare di contaminare i cibi con carne di qualsiasi genere o con altri prodotti di origine animale, ogni punto di ristoro ha due aree cucina distinte e addirittura due gruppi di inservienti diversi.
Anche le filiere dei prodotti tradizionali italiani hanno iniziato a confrontarsi con le certificazioni halal e kosher. Per prima è stata la mozzarella di bufala campana nel 2011, e da pochi mesi anche il pecorino toscano affianca al logo della registrazione comunitaria Dop il simbolo halal, che certifica un prodotto fatto come vuole il Corano. Le differenze sia della mozzarella di bufala Dop halal e pecorino toscano Dop halal non sono da ricercare nel prodotto ovviamente, ma nel percorso lavorativo, che prevede vincoli dettati dalla religione islamica, come ad esempio l’utilizzo di prodotti senza alcol per la pulizia degli impianti. Visti i continui scandali alimentari, le certificazioni stanno diventando sempre di più un’esigenza. I consumatori oggi sono decisamente più attenti e non si fidano più degli alimenti generici. L ‘proprio nell’ambito dello scandalo della carne di cavallo che è venuto alla luce il caso della carne di maiale nel pollo halal che ha letteralmente fatto infuriare i credenti musulmani e rilanciato nel campo alimentare internazionale la necessità di certificare i prodotti per non incorrere non solo in problemi di salute ma anche in problematiche etico-religiose.
LE IMPRESE
I consumatori hanno un’attenzione sempre maggiore verso i prodotti, i servizi e i processi di produzione. Le certificazioni religiose sono un potenziale immenso per le imprese italiane perché aprono ai nuovi mercati e ad altre categorie di consumatori. I grandi flussi migratori degli ultimi anni portano ad una riflessione più ampia non solo sulla sicurezza delle materie prime ma anche sulla loro conformità al proprio credo religioso. Ad oggi, il vantaggio competitivo è quasi tutto delle Big food, visto il loro potere nei mercati internazionali, specialmente quello statunitense e canadese. Le piccole aziende italiane stanno iniziando ora a rendersi conto delle occasioni di conquista di nuovi potenziali clienti e il settore della pasta è sicuramente un po’ più avanti degli altri. Infatti Agnesi, Barilla, Buitoni, De Cecco ed altre aziende sono tutte certificate kosher. Alcune, come Granarolo, hanno addirittura ottenuto la certificazione halal. L’intenzione, oltre a quella di soddisfare le esigenze delle più svariate categorie di consumatori, è anche quella di consolidare la propria posizione competitiva nei mercati e, perché no, guardare alle nuove prospettive che altri mercati internazionali, come quello del Medio Oriente, possa avere in serbo. Una sfida culturale per il nostro Paese.
20130419_Foodpolitics.pdf