Prima che il Coronavirus facesse il suo ingresso, la filiera si concentrava su: controlli delle DOP, sinergia tra gli attori della filiera, valorizzazione della carcassa e molto altro. Tutte questioni da non lasciare in standby.
Il futuro della suinicoltura italiana è legato alle produzioni a Denominazione di Origine Protetta, elemento distintivo e qualificante di un sistema di produzione tra i più attenti e sicuri al mondo. La produzione dei prosciutti DOP è da sempre intimamente legata alla produzione suinicola italiana, la cui peculiarità la porta a distinguersi dal resto d`Europa e del mondo. È questo il messaggio di Coldiretti, che da Mantova – nel corso di un convegno dove si sono confrontati autorevoli rappresentanti della filiera, tra produttori, macellatori, segmento dei prosciutti DOP e autorità di controllo – ha analizzato il settore che vale oltre 8 miliardi di euro nel suo complesso e che vede nella provincia il secondo produttore nazionale per numero di capi (1,12 milioni di suini), alle spalle di Brescia (1,31 milioni).
Oggi lo scenario economico è mutato radicalmente per la suinicoltura italiana. Chi avrebbe mai immaginato un calo dei listini dei suini grassi da macello in appena tre mesi, crollati da 1,808 €/kg della metà di dicembre a 1,402 €/kg di inizio aprile, con l`Italia e quasi tutta l`Unione europea sotto chiave per l`emergenza Coronavirus? Va da sé che le fasi frizzanti di mercato del 2019, per lo meno dalla fase di giugno luglio fino a metà dicembre, sono solamente un felice ricordo. Un testacoda inaspettato, anche se segnali di rallentamento delle importazioni cinesi erano trapelati e gli effetti sui mercati interni di una frenata dell`export dall`Europa alla Cina, così come l`avvio della cosiddetta “Fase 1” dell`accordo fra Stati Uniti e Cina in chiave agroalimentare erano al centro delle domande degli analisti del settore. Insomma, un rallentamento dei prezzi sembrava plausibile, ma tutto sommato su livelli abbastanza contenuti e in grado di assicurare agli allevatori un sostanziale equilibrio e, di conseguenza, una remuneratività in grado di lasciare agli imprenditori la libertà di progettare passi in avanti strategici in termini di benessere animale, riduzione dei costi di produzione, miglioramento di alcune tipologie produttive che nel recente passato avevano portato forse a un calo percepito della qualità.
Restavano da risolvere comunque alcuni nodi niente affatto trascurabili. Fra i problemi, quelli connessi ai dazi internazionali, alla biosicurezza, fino al controllo degli animali selvatici, i maggiori responsabili della diffusione della Peste suina africana, altro tema passato in secondo piano in un frangente che privilegia le preoccupazioni della libertà personale e della gestione della questione sanitaria globale. Allora il Coronavirus rimaneva un fenomeno circoscritto a Wuhan e alla provincia cinese dello Hubei. Nulla di più.
Fonte: Rivista di suinicoltura