Le ultime tendenze di mercato dei due mercati principe del futuro, uno consolidato e affidabile, gli stati uniti, e l’altro, la cina, ancora “di frontiera”, ma potenzialmente inarrestabile
Il futuro del mercato del vino si gioca in USA e Cina, le prospettive nei report di Impact DataBank e Wine Intelligence. Dal punto di vista enoico il Pacifico è bifronte: da un lato si trovano gli Stati Uniti, un mercato attualmente impareggiabile per affidabilità e numeri, specialmente per il mondo del nettare di Bacco tricolore, dall’altro, invece, c’è la frontiera, ancora tutta da esplorare nelle sue potenzialità di consumo di massa, dell’altra potenza economica globale, la Repubblica Popolare Cinese. Due mercati diversissimi fra loro, entrambi degni di attenzione, specialmente a valle di quanto avvenuto con il referendum britannico del 23 giugno scorso, che nel medio termine porterà probabilmente più di un produttore a dover spostare il baricentro delle proprie esportazioni verso altri lidi. Ed entrambi, per motivi diversi, estremamente importanti per l’Italia: secondo l’ultimo report “Wine by Numbers” di Corriere Vinicolo – Uiv, sul primo trimestre 2016, le esportazioni verso gli States hanno perso in volume (-3,3%, a 60,72 milioni di litri) ma guadagnato in valore (+2,7%, a quota 260,74 milioni di euro), mentre quelle verso la Cina sono cresciute molto in termini percentuali (del 34,9% in volume e del 22,4% in valore) ma nel suo complesso quel mercato non è ancora un punto di riferimento per l’Italia, a 5,45 milioni di litri per un controvalore di 17,78 milioni di euro.
Cominciando con il gigante asiatico, scrive “Wine Intelligence” (www.wineintelligence.com), si conferma il trend di crescita della media borghesia urbana cinese, il che sta ammortizzando gli effetti negativi sul consumo di vino derivanti dalla frenata dell’economia del paese, e dal conseguente clima di incertezza generale. Secondo un “calibration study” contenuto nel più recente report “China Landscapes 2016”, questa fascia della popolazione cinese contiene a oggi 48 milioni di bevitori di vini importati, rispetto ai 38 milioni del 2014, e il combinato disposto di una maggiore quantità di reddito disponibile e della facilità con la quale questi “nuovi borghesi” possono acquistare vino online si sta traducendo in una frequenza di consumo in netta crescita, con la percentuale di consumatori che bevono vino importato su base settimanale che è cresciuta del 12% anno su anno, arrivando al 35%. Non solo: questi consumatori, specie nell’“off-trade”, si stanno rivolgendo a etichette appartenenti a una fascia di prezzo più alta che in passato, dato che il segmento dei vini fino a 100 yuan (circa 13,5 euro) sta perdendo terreno, a vantaggio diretto di quelli con prezzi compresi tra i 200 e i 300 yuan (27-40 euro circa). Inoltre, il motivo di questo cambiamento non è solo economico ma anche demografico, con le giovani generazioni che considerano il prezzo attuale del vino importato allo scaffale molto più equo rispetto a quelle più in là con gli anni – ben i quattro quinti della fascia di età compresa tra i 18 e i 29 anni, rispetto ai due terzi di quella compresa tra i 40 e i 54 anni. E con l’e-commerce che è già il secondo canale di vendità più importante in assoluto.
Passando invece agli Stati Uniti, racconta lo “The U.S. Wine Market: Shanken’s Impact Databank Review and Forecast” (www.shankennewsdaily.com), il mercato a stelle e strisce , il più importante per il nostro Paese, e quello dove la nostra posizione di leadership è consolidata da tempo, dovrebbe continuare a crescere, sebbene a ritmi meno concitati, anche nel 2016, con un +1,1% che porterebbe il totale a quasi 327 milioni di casse da 9 litri. Prosegue, quindi, il passo più moderato dell’Unione da questo punto di vista, che ormai permane dal 2011 (ma va detto che il consumo di vino nel Paese è cresciuto di ben il 70% negli ultimi vent’anni, nonostante la presenza di due recessioni di vasta scala in quel periodo, ndr). Prosegue inoltre la cavalcata degli sparkling, che dovrebbero performare molto meglio sia dei vini fermi e da tavola che del mercato nel complesso, con una crescita attesa del 6% che porterebbe un nuovo record alla categoria, con 18,8 milioni di casse e il 6% del mercato nella sua totalità. Un’ottima notizia per l’Italia, che ha nel Prosecco la sua indiscutibile carta vincente da questo punto di vista. Passando ai varietali, la loro performance nel settore dei vini da tavola dovrebbe essere migliore di quella delle controparti “regolari”, con lo Chardonnay ancora in testa, seguito dal Cabernet Sauvignon; interessanti, però, sono i trend di crescita del Moscato, del Pinot Nero, del Pinot Grigio, del Sauvignon Blanc e del Riesling. Ma il 2016, prosegue il report, sarà comunque il nono anno consecutivo nel quale i vini da tavola nazionali faranno meglio dei colleghi d’importazione, con la domanda interna nel settore soddisfatta per i tre quarti da prodotti locali. Guardando al futuro, poi, il mercato americano del vino dovrebbe continuare a crescere fino a 344 milioni di casse entro il 2020, con tassi annui di sviluppo dell’1,3%. E vino, superalcolici bevande confezionate “ready-to-drink” e sidro continueranno a crescere, a discapito della birra.
Buone notizie, quindi, per il nostro paese, che guarda però a come evolveranno anche le trattative sul celeberrimo Ttip, il trattato di libero scambio che da una parte potrebbe rendere le cose più facili per il vino italiano negli States, e dall’altro porrebbe però molti problemi sul tema della tutela delle denominazioni di origine, sulla quale i negoziatori statunitensi si sono sempre dimostrati molto freddi. Accordo sul quale, per altro, c’è chi si è espresso con chiaro pessimismo, come il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, secondo cui, per molti motivi, “è probabile che il Ttip salti, sarà molto difficile che passi e sarà una sconfitta per tutti”.
Fonte: WineNews