Ci voleva il morto, anzi i morti per riportare all’attenzione dei media il difficile rapporto fra agricoltura e fauna selvatica: la tragedia dell’uomo ucciso da un branco di cinghiali a Cefalù nelle scorse settimane ha dato una visione più vicina delle reali problematiche che il mondo agricolo sta vivendo a causa della mutazione del nostro territorio dal punto di vista faunistico e ambientale.
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Una normativa datata e una gestione frammentata le cause principali di questa emergenza
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Come ha dichiarato recentemente il presidente nazionale della Cia – Confederazione italiana agricoltori – Dino Scanavino rilanciando con forza l’allarme fauna selvatica nei campi, nelle strade e nei centri abitati: “la situazione è fuori controllo e non governata. Si registrano incidenti ogni giorno e in diverse aree del Paese. Gli agricoltori contano danni e cercano rimedi estemporanei a spese loro. C’è, inoltre, un oggettivo problema di sicurezza, che intervengano le forze armate”. E senza considerare le conseguenze di lungo periodo sul piano della biodiversità.
Il quadro generale
Come sostengono molte associazioni di settore come la Cia – Confederazione italiana agricoltori – fortemente impegnata su questo tema, nel corso degli ultimi venti anni il contesto ambientale dei nostri territori ha vissuto profonde trasformazioni che hanno portato ad una mutazione radicale nella presenza delle specie animali selvatiche sia in quantità che in qualità. Questa alterazione, oltre ad incidere pesantemente sugli equilibri delle singole specie e tra specie diverse, ha decisamente interferito nella sostenibilità del rapporto con le attività dell’uomo, in particolare con l’agricoltura.
Le legge che nel nostro Paese avrebbe il dovere di regolare questa materia risale al 1992 (L. n. 157/1992) ed è opinione pacifica che appartenga a quella che possiamo definire “un’altra epoca” dal punto di vista dell’ambiente e della fauna. Tant’è vero che il suo principale obiettivo era l’incremento degli animali, mentre oggi, specialmente per quanto riguarda le specie ungulate, abbiamo bisogno di controllarne la crescita. L’incremento è stato infatti esponenziale (in particolare i cinghiali, ma anche daini, caprioli e lupi) ed ha visto tra le cause principali anche l’intervento dell’uomo con l’immissione di nuove specie alloctone, provenienti perlopiù dal centro Europa e capaci di creare gravi disequilibri dell’ecosistema.
[blockquote size=”fourth” align=”left” byline=”]Negli ultimi venti anni il contesto ambientale ha vissuto profonde trasformazioni[/blockquote]
ALa normativa non sembra essere in grado di rispondere alle esigenze reali e non sembra avere strumenti e processi capaci di costruire meccanismi virtuosi. Innanzitutto non riesce a favorire concretamente l’implementazione di un sistema di monitoraggio che permetta di conoscere i numeri del problema.
Una gestione sostenibile
La questione è molto complessa e presenta variabili legate ad aspetti tecnici, è possibile però affermare che nella sostanza manca un approccio normativo che permetta di porre in relazione la densità sostenibile della fauna selvatica con tre elementi strettamente collegati: la tutela delle biodiversità, la sostenibilità economica delle attività agricole e la sicurezza personale dell’uomo.
Sul piano della biodiversità l’Italia ha molto da proteggere, tutte le sue eccellenze devono molto al grande patrimonio naturale ed è quindi di primaria importanza l’opera di conservazione dell’ambiente e delle risorse naturali. È ormai chiaro che il fenomeno di sovrappopolamento che riguarda gli ungulati si sta rivelando un grande nemico della possibilità delle altre specie di conservarsi e svilupparsi.
La questione dei danni all’agricoltura da fauna selvatica ha acquistato negli ultimi anni una dimensione notevole. In parte, come dicevamo, per il degrado della funzionalità dell’ecosistema, ma soprattutto per l’impatto sull’attività economica dell’impresa agricola. La convivenza risulta tanto più complicata quando le produzioni alimentari sono di particolare qualità come quelle DOP IGP e STG. Per citare un esempio basti ricordare l’area del Chianti Classico DOP, dove i vigneti pregiati si mescolano spesso al bosco e alle aree naturali. In questa zona è sempre più frequente la possibilità di insopportabili danni permanenti alle produzioni, come nel caso dei caprioli che in un solo passaggio sono in grado di eliminare le possibilità produttive triennali del ceppo della vite.
Le ultime notizie di cronaca hanno tristemente sottolineato quanto queste specie, in determinate condizioni, diventino pericolose per l’uomo. Non solo e non tanto per gli attacchi diretti, ma soprattutto per la sicurezza stradale e i numerosi incidenti, spesso purtroppo di grave entità. Una gestione moderna che abbia come faro la sostenibilità relativa all’ambiente e alle attività antropiche non può che prendere atto della necessità di limitare la presenza della fauna selvatica.
Il fattore ‘Aree Protette’
Uno dei passaggi chiave per affrontare questa sfida è legato al tema delle aree protette. La gestione del territorio e della fauna infatti non può limitarsi alle zone collegabili alla tradizionale attività venatoria, dove solitamente le autorità competenti sono intervenute. L’intervento deve essere sistemico, deve gestire tutto il territorio. Ovviamente non stiamo parlando di aprire la caccia nei parchi, dove vige il principio di tutela delle specie, bensì di fornire ai gestori di queste aree gli strumenti per il controllo sistematico ed efficace della crescita demografica, al fine di tutelare da una parte la biodiversità dell’area e dall’altra le attività umane nel territorio circostante.
Quello delle zone sottoposte a vincolo è un territorio speciale, imponente e sensibile dal punto di vista naturalistico, e potenzialmente competitivo da quello dell’economia agricola, se capace di valorizzare le proprie caratteristiche. Un ambiente in cui i prodotti a indicazione geografica, l’agricoltura biologica e le produzioni di qualità in genere offrono irrinunciabili opportunità sia per la crescita del lavoro che per la conservazione del patrimonio di biodiversità. Ma per rendere possibili questi obiettivi, nelle 871 aree protette che coinvolgono una superficie di. 3.163.590,71 ettari (Fonte Federparchi) c’è una forte necessità di nuovi strumenti per il monitoraggio, la gestione e la riduzione delle popolazioni di una fauna selvatica che in questo momento finisce per danneggiare le aree stesse e anche i centri abitati che si trovano in prossimità.
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“Siamo consapevoli che gli equilibri dell’ecosistema in questo caso sono stati superati – afferma Giuseppe Vadalà comandante del Corpo Forestale della Regione Toscana – per il fatto che la Natura è una organizzazione sensibile che ha bisogno di conoscenze e interventi mirati finalizzati al mantenimento, alla gestione e alla tutela delle risorse naturali e agroalimentari tra tutte le componenti”.
Per rendere possibile un intervento efficace sulla convivenza con la fauna selvatica, il legislatore e le istituzioni competenti devono prendere atto dei grandi mutamenti. È necessaria la riforma della Legge 157/92 si rende necessaria per una migliore e più attuale gestione della fauna selvatica, come sostiene anche Luca Sani Presidente della Commissione agricoltura; è impellente avere a disposizione un riferimento adeguato che annulli le molte norme regionali dissimili tra loro. Questo intervento deve accorciare i tempi di risposta a problemi che oramai hanno un drammatico carattere di urgenza, stabilendo input precisi per autorità responsabili e individuabili come i soggetti in grado di tutelare la nostra sicurezza, il nostro ambiente e le nostre eccellenze agricole. Ma c’è bisogno anche di un cambio di rotta culturale.
Mauro Rosati
Direttore Generale Fondazione Qualivita[/column]
[column size=”half” last=”yes”]LE OPINIONI DEI PROTAGONISTI DEL SETTORE[hr style=”dash”][accordions][accordion title=”Necessario un decreto ad hoc ” active=”yes”]Luca Sani
Presidente Commissione agricoltura della Camera
“E’ auspicabile una decretazione del Governo che consenta alle regioni interessate una maggiore flessibilità sui calendari venatori e sulle attività di contenimento.”
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[accordion title=”Non aspettiamo altre tragedie per agire” active=”yes”]Donatella Cinelli Colombini
Imprenditrice agricola, Toscana
“Oltre alla distruzione di una parte del raccolto sono crescenti rischi per le persone, soprattutto per i turisti e ancora di più per i bambini.”
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Fonte: L’Unità – Terra e Cibo
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