Il primo tema da sviluppare è la valorizzazione del territorio. “Purtroppo i terremoti e le tragiche vicende degli ultimi anni hanno influenzato il nostro modo di vivere, e l’immagine stessa dell’Abruzzo”, spiega Di Campli, alla guida dell’ente che rappresenta l’85% della produzione vinicola regionale. “Oggi i vini abruzzesi sono apprezzati e conosciuti nel mondo. Sfortunatamente non si può dire lo stesso della loro terra d’origine”.
Il territorio entra nei disciplinari di produzione
Come si traduce nella pratica questo intento? “Stiamo portando avanti alcune modifiche significative ai disciplinari di tutte le DOP, per individuare delle sottozone che identifichino in maniera trasversale le diverse aree di produzione”. Inserire riferimenti al territorio in etichetta serve a comunicare la complessità della terra abruzzese, che in pochi chilometri passa dalla costa marina a 600-700 metri d’altitudine, fino ai 2.000 metri della Maiella. “Anche fare attività di incoming e comunicazione su questi temi è fondamentale. Va impostato un discorso più ampio: deve emergere il territorio, e con questo il vino”, precisa. “L’Abruzzo è la quinta regione vinicola d’Italia per volumi, ma ancora oggi riveste una funzione di servizio rispetto ad altre zone produttive. Niente di riprovevole, però non fa bene all’identità territoriale”.
Cinque DOP e sette IGP
Istituito nel 2003, il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo tutela e valorizza la produzione vinicola di cinque denominazioni d’origine regionali: accanto alla DOP Abruzzo, nata nel 2010, l’Ente sovrintende Cerasuolo d’Abruzzo DOP, Montepulciano d’Abruzzo DOP, Trebbiano d’Abruzzo DOP e Villamagna DOP. E sette Indicazioni geografiche tipiche: Colline Pescaresi IGP, Colline Teatine IGP, Colline Frentane IGP, Colli del Sangro IGP, Del Vastese o Histonium IGP, Terre di Chieti IGP, Terre Aquilane o Terre de L’Aquila IGP. “Oggi rappresentiamo l’85% della produzione regionale, con oltre 200 Cantine socie e 6.000 produttori, ma le adesioni continuano a crescere”.
Montepulciano d’Abruzzo, l’alfiere del territorio
“Dopo aver festeggiato i 50 anni della DOP Montepulciano d’Abruzzo lo scorso anno, il nostro 2020 parte con buone prospettive”, prosegue il presidente. La denominazione storica della regione fa da traino al resto della produzione vinicola: “È la prima DOP rossa d’Italia ed è esportata per oltre il 60%”. La consumer base del Montepulciano d’Abruzzo conta oltre 18 milioni di consumatori in Italia (il 55% del totale), 6 milioni in Germania (18%) e 3 milioni tra New York, Texas e California (10%), stando ai dati di Nomisma Wine Monitor.
I bianchi autoctoni: la cavalleria
“Accanto al Montepulciano, che resta il vino emblematico del nostro territorio, anche il Trebbiano d’Abruzzo DOP è conosciuto e apprezzato dagli appassionati. Per noi è fondamentale comunicare le sue peculiarità rispetto al resto della famiglia dei Trebbiani”, precisa Di Campli. Il lavoro di valorizzazione dei bianchi autoctoni abruzzesi – Trebbiano, Pecorino, Passerina, Cococciola – sarà un impegno importante per il Consorzio anche nel 2020.
Il Cerasuolo: “diversamente” rosato, intensamente abruzzese
Al centro delle attività di promozione c’è anche il Cerasuolo d’Abruzzo DOP, “l’unica denominazione nazionale dedicata esclusivamente a un rosato”, sottolinea. La produzione ammonta a circa 10 milioni di bottiglie, che trovano mercato quasi solo in Italia, nonostante il rosé sia una tipologia in ascesa nel comparto mondiale. Complice, forse, uno stile ben distinto dallo standard provenzale su cui si è costruito il gusto internazionale. Il colore più carico, la maggiore intensità, i tannini percepibili assimilano il Cerasuolo alla tipologia dei rossi leggeri, ma sono al contempo i suoi caratteri tipici: l’obiettivo del Consorzio è conquistare un pubblico più ampio di estimatori senza alterare l’identità del rosato abruzzese.
Spumanti d’Abruzzo? Si sperimenta
Diverso è il discorso per un’altra tipologia che riscuote i favori del mercato: gli spumanti. “Ci stiamo lavorando da una quindicina d’anni, una volta constatato che molto Trebbiano abruzzese veniva acquistato altrove per produrre basi spumante. Ma anche il Pecorino si presta bene”, spiega Di Campli. Oggi si sperimentano diverse tecniche produttive (Metodo Classico, Italiano, Ancestrale), con vitigni autoctoni e internazionali, e risultati alterni. Alcune realtà cooperative, come Eredi Legonziano, hanno cominciato a fare imbottigliato partendo dalle bollicine; qualche Cantina è nata con la volontà espressa di produrre spumanti, come Nicola Di Sipio, con esiti più che discreti; la maggior parte ha completato la gamma aziendale con una o più referenze, per ragioni anche commerciali. “Resta una tipologia di nicchia, che non supera il 2% della produzione vinicola regionale”, commenta il presidente.
Ci vuole coraggio
Territorio, autoctoni, identità. Che cosa manca, dunque, all’Abruzzo per fare il grande salto? “Il coraggio. Per essere più competitivi dobbiamo prendere consapevolezza del potenziale che abbiamo noi abruzzesi: rischiamo di non osare di più perché non crediamo o non siamo consapevoli fino in fondo delle nostre ricchezze”, conclude Valentino Di Campli. “Serve più organizzazione. E più coraggio”.
Fonte: La Civiltà del bere