Il New York Times celebra il Chianti Classico DOP. Lo fa con un articolo sul sito online di ieri a firma di Eric Asimov, critico enologico del prestigioso giornale americano dal 2004. Uno spot per il Chianti Classico e per le vendite negli Usa e oltre confine, con l’export che registra una crescita costante. L’articolo, dal titolo «Chianti Classico, oltre il fiasco», ne esalta la qualità e le caratteristiche, aggiungendo tuttavia che viene talvolta «snobbato», perché – come scrive Asimov – ad eccezione di qualche eccellente ristorante italiano, non molte liste di vini lo mettono in risalto e di rado appare nei piatti Instagram di qualche sommelier. Uno dei motivi, secondo il critico del New York Times, sta nel fatto che il Chianti è espressione dell’uva sangiovese e il sangiovese è molto sottovalutato, fatta eccezione nel caso del fratello toscano del Chianti, il Brunello di Montalcino DOP. «Nonostante ciò un buon Chianti Classico è uno dei vini più `profondi’, `pieni di sentimento’ che io conosca» scrive Asimov addentrandosi nei suoi numerosi pregi e segnalando il Monteraponi come suo preferito.
Il Critico del New York Times, oltre a ricordare il territorio tra Firenze e Siena che prende il nome di Chianti, risale indietro nel tempo fino al 1872 quando il Barone Bettino Ricasoli stabilisce quella che viene considerata la formula del Chianti, un vino che dovrebbe essere per la gran parte di sangiovese, con l’aggiunta di uve canaiolo per ammorbidirne l’acidità. Per coloro che volessero vini più leggeri, freschi, il barone – scrive Asimov – consigliò l’aggiunta di una porzione di uve bianche, come la malvasia. Dal 1872 Asimov arriva via via ai giorni nostri, ricordando che al san- giovese (minimo 80%) è possibile aggiungere un 20% di miscela di uve rosse, locali così come internazionali come cabernet sauvignon, merlot e syrah.
Da Greve a Radda, a Castelnuovo Berardenga, il viaggio del New York Times tocca le sottozone in cui è diviso il territorio del Chianti Classico ma non tralascia ovviamente di citare il Brunello di Montalcino, che divenne – scrive Asimov – il preferito dai critici enologici americani negli anni Ottanta e Novanta. Non importa spendere cifre esagerate per gustarsi un ottimo Chianti, fa capire il critico del New York Times, perché di solito «sono molto soddisfatto con Chianti Classico ordinari, dai 15 ai 30 dollari». Ma anche uscendo dal nucleo storico del Chianti Classico, e affidandosi ad un semplice Chianti, si trovano vini molto meno costosi e, alcuni, in particolare quelli del Chianti Rufina, possono essere molto buoni.
Fonte: La Nazione