Il Messaggero
Cibo degli dei. Non rompe il digiuno. Giova alla digestione. Eccita l’appetito. Accresce le forze. Apporta brio». Lo dice, da un manifesto decorato a ghirlande di E. Bosco del 1910 per la storica casa Talmone, una bella signore in abito da sera con una tazza in mano. Difficile trovare una sintesi più compiuta sul cioccolato e le sue storie. Una storia che parte dalla conquista del Nuovo Mondo, dai Maya e dagli Aztechi, per arrivare ai tic e alle stravaganze dei nostri giorni. Come in un film, si passa da Xochiquetzal, la dea della fertilità degli Aztechi a Cristoforo Colombo (che non comprende però il valore commerciale e gastronomico dei semi di questa pianta «cibo degli Dei», theobroma, secondo la classificazione di Linneo), forse a causa del sapore troppo amaro per il gusto europeo. Ma la storia riparte con Cortez, il conquistatore avido e spietato che nel 1528 porta al Re di Spagna i semi e la ricetta di una bevanda che, addizionata di zucchero e spezie, porta energia e piacere al palato. Non è come il xocolatl di Montezuma, aspro e addizionato di peperoncino (per provarne un lontano discendente, bisogna gustare il classico mole poblano messicano), ma comincia dalla Corte di Carlo V il successo del cioccolato, anzi, della cioccolata, la bevanda destinata a diventare uno status symbol per le aristocrazie del tempo.