In una fase in cui il “villaggio globale” vede la ridefinizione delle grandi economie, diventa necessario reinterpretare concetti che vengono da lontano. Prendendo in analisi il settore agroalimentare, uno dei primi è senza dubbio quello legato all’origine di un prodotto e in particolare al suo paese di provenienza: il “Made in”.
Il significato delle parole “made” e “in” assume in questo contesto particolare rilevanza per le informazioni che è in grado di comunicare al consumatore. Nel 900 questi due termini si portavano dietro un significato ben preciso legato al fatto che le aziende programmavano e producevano rigorosamente nel proprio ambito territoriale. Per il consumatore nazionale, poco abituato ai marchi stranieri, questo processo era sinonimo di qualità e fiducia. I fenomeni legati alla globalizzazione hanno però, nel tempo, cambiato questa percezione e ad incidere sono stati vari fattori. Dal punto di vista del prodotto, la capacità del mercato di assegnare a più paesi le diverse fasi di produzione di un bene ha contribuito a confondere il consumatore sul vero valore del brand “Paese d’origine”.
D’altro canto, la maggiore accessibilità alle informazioni data dalle evoluzioni tecnologiche ha aiutato i cittadini nella conoscenza di prodotti e aziende. Questa connessione globale ha permesso ai consumatori di avere un panorama a 360 gradi su tutto il settore del food che, attraversato da scandali di vario tipo (di carattere socio-economico, salutistico, etico-ambientale), ha progressivamente formato una nuova tipologia di cittadino/consumatore, maggiormente consapevole, in cerca di verifiche e volenteroso di affidare al “Made in” e al sistema dei controlli un potenziale enorme: quello di garantire, prima dell’acquisto, su questioni chiave come la sicurezza, la qualità e gli standard ecologici.
Una recente ricerca FutureBrand – un agenzia internazionale specializzata nel brandig – sul valore dei marchi nazionali ha evidenziato come il nostro paese si trovi in una situazione di assoluto vantaggio. Nella classifica generale infatti il “Made in Italy” è al quinto posto con una posizione di eccellenza nel “Food&Beverage”, dove viene percepito come il secondo brand al mondo. A livello internazionale è ormai diffusa la consapevolezza che il brand “Made in” sia un valore competitivo per tutte le imprese della nazione tanto che due importanti paesi come la Francia e la Svizzera hanno già attuato iniziative di tutela del proprio marchio, seppure utilizzando approcci diversi: uno, quello francese, di tipo privatistico, l’altro addirittura regolamentato attraverso una specifica legge federale.
In sostanza la legge “Swissness” protegge i marchi e le indicazioni geografiche definendo i presupposti di contenuto del marchio Svizzera e le condizioni per l’utilizzo delle indicazioni di provenienza in generale e della “croce svizzera” in particolare per tutelare il considerevole plusvalore del marchio Svizzera come co-brand. Applicabile anche ai servizi, nell’agroalimentare “la croce svizzera” certificherà che la fase del processo produttivo si svolge in Svizzera e che almeno l’80% delle materie prime dovrà essere di provenienza nazionale.
Creata nel 2010, Pro France è, invece, prima di tutto un’associazione di attori economici privati – imprese, federazioni e organismi professionali – riuniti attorno ad una caratteristica di base, sia sul mercato interno che nell’export: avranno il marchio quelle imprese che abbiano fatto la scelta di mantenere le loro attività produttive in Francia. Come testimoniano recenti indagini sui consumatori, entrambi i casi hanno riscosso un notevole successo, con quello transalpino che è stato in grado di riaccendere fortemente l’anima patriottica grazie all’esperienza di Benjamin Carle, un giornalista che ha vissuto per un anno utilizzando e consumando prodotti 100% francesi e realizzando poi un video diventato velocemente un simbolo del “Made in France”.
Anche le nostre produzioni e le nostre aziende, eccellenze riconosciute nel mondo, hanno bisogno di un elemento che nella sostanza e nell’immagine possa creare vantaggio competitivo e differenziazione. In questo senso un marchio nazionale può essere decisivo su due piani distinti. Il primo riguarda la lotta alla contraffazione, che ha bisogno di sinergie forti tra i settori del cibo e del vino per dotarsi di un’organizzazione efficace. Il secondo riguarda la comunicazione di prodotti e aziende verso consumatori e distributori. Costruire una strategia elaborata e coerente significherebbe riuscire a far comprendere anche in paesi culturalmente lontani quale sia il valore effettivo delle nostre produzioni.
Domenica apre il Vinitaly. Sarà un’utile occasione di confronto sulla proposta lanciata dal Ministro Martina per realizzare un marchio Made in Italy che riguardi i prodotti DOP italiani da lanciare ad Expo2015. Proprio il comparto dei vini italiani , il cui mercato sta crescendo nei mercati stranieri, ma sempre più stretto dalla concorrenza di altri paesi e la contraffazione, potrebbe dare delle positive risposte in tal senso. Il Brand Italia è comunque un punto di forza da sfruttare ma anche da nutrire.