“Un new deal per la Toscana delle Indicazioni Geografiche” è il titolo del convegno che si terrà il 20 ottobre a BuyFood, Mauro Rosati direttore della Fondazione Qualivita: “Fondamentale il ruolo dei Consorzi per raccogliere le nuove sfide”
Portare regole e standard di sostenibilità ambientale nei disciplinari di produzione delle prelibatezze Indicazioni Geografiche, equità nella remunerazione di tutti gli attori delle filiere, visibile identificazione tra territori e beni IG, compensazione tra filiere delle attività inquinanti.
Sono i pilastri di “Un new deal per la Toscana delle Indicazioni Geografiche”, titolo del convegno in programma il 20 ottobre dalle 10.30 presso il complesso museale del Santa Maria della Scala di Siena, dove intervengono con proprie relazioni – dopo i saluti delle autorità e prima di una tavola rotonda Mauro Rosati, direttore di Fondazione Qualivita, Fabio del Bravo dell’Ismea, Angelo Riccaboni, presidente di Fondazione Prima e Santa Chiara Lab-Unisi, e Francis Fay della DG Agricoltura e sviluppo rurale della Commissione Europea.
È proprio Rosati a delineare il ruolo di traino che le oltre 30 IG della Toscana, IGP e DOP, dal pecorino ai diversi salumi, dall’olio ai dolci tipici senesi, possono avere per l’economia regionale.
“In questo momento – spiega il direttore di Qualivita – il tema della valorizzazione delle IG è reso strategico dal New Green Deal e dalla nuova PAC. Vale per l’Italia, ancor più per la Toscana. Quel che è necessario, per cogliere le opportunità di sviluppo offerte al settore agroalimentare, è portare i criteri di sostenibilità, benessere e qualità nutrizionali dentro le filiere, facendo lavorare insieme le 19 mila imprese toscane del- la rete IG con il supporto fondamentale dei 32 Consorzi di tutela”.
Quattro, come detto, le prescrizioni della ricetta di Rosati. Ruolo fondamentale è attribuito si Consorzi. “Occorrono – spiega il direttore di Qualivita – modifiche dei disciplinari che integrino al loro interno risposte alla istanze di sostenibilità dei processi e di qualità nutrizionali dei prodotti chiesti oggi da mercato, Unione Europea ma soprattutto da doveri etici e morali che impongono a tutti di svolgere il proprio ruolo per contrastare il trend climalterante. E bisogna che questo cambiamento interessi tutti gli attori della filiera: la produzione agricola, la trasformazione, lo stoccaggio e quindi la logistica e il trasporto”.
“Ma la sostenibilità di cui devono farsi carico i Consorzi – prosegue Rosati – deve essere anche economico sociale e garantire un compenso adeguato a tutti i protagonisti della filiera. Mi spiego con un esempio: è un paradosso che la filiera della Cinta Senese, che offre alcuni tra i prodotti piùrichiesti, non remuneri in modo sufficiente gli allevatori, e garantisca invece ottimi guadagni ai trasformatori”.
Un’altra prescrizione è culturale. “Bisogna spingere e incentivare i Consorzi ad essere più presenti nel cuore dei territorio di provenienza per creare un virtuoso processo di identificazione – sostiene Rosati – Anche in questo caso, un esempio. Dal centro storico di Siena è sparita ogni traccia del ricciarello e del panforte, relegati nei periferici capannoni di produzione. Non c’è un forno. Non c’è un segno di riconoscibilità e identificazione tra prodotto e territorio. Occorre che i Consorzi investano in iniziative di comunicazione”. Infine la solidarietà tra filiere. “Vanno creati tra loro – dice Rosati – meccanismi di collaborazione che, in un’ottica di sistema Toscana, permettano di compensare il maggior tasso inquinante di alcune filiere in termini di emissioni di Co2, come ad esempio la produzione del prosciutto o dei dolci, con la maggiore sostenibilità di altre filiere come quelle dell`olio e delle castagne, pensando anche ad iniziative compensative di forestazione”.
Fonte: la Repubblica