Viticoltori in pressing sul governo: “Deve autorizzare la produzione”
Guai a chiamarli vini. I prodotti a base uva con bassa gradazione alcolica suscitano polemiche nel nostro Paese, storicamente legato ai vini tradizionali (comunemente da 11 gradi alcol in su).
Ma sono i numeri a parlare. I prodotti low alcol, dai 7 ai 2 gradi, spopolano negli Stati Uniti e si stanno diffondendo anche in Europa.
L’Italia negli States fa la parte da leone, accaparrandosi il 70% del valore delle vendite, ma a guadagnarci sono gli americani: come rileva uno studio dell’Osservatorio Unione italiani vini su base NielsenIQ, l’80% del business derivante da uve italiane è in mano a imprese a stelle e strisce che importano e poi rivendono il prodotto finito ed etichettato nel Belpaese.
Un paradosso imprenditoriale a cui si ne aggiunge un altro politico. La premessa è che per fare prodotti low alcol ci sono tre strade: si può usare il vino come base per bevande aromatizzate, si può fermare la fermentazione del mosto tenendola bassa oppure si può dealcolare, con macchinari specializzati, il vino già pronto. Ma nel nostro Paese, ad oggi, quest’ultimo metodo non è consentito.
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Fonte: La Stampa