Nel nostro Paese si è raccolto meno grano e, a causa dei mutamenti atmosferici, gli effetti si sono fatti sentire anche sulla trebbiatura e sui costi del prodotto finale
Quest’anno in Italia è stato prodotto meno grano. E l’andamento climatico ha creato un’inversione di tendenza ormai consolidata: se in alcune aree del Centro-Nord si raccoglieva prima il tenero e poi il duro, ovvero quello impiegato per la lavorazione della pasta, nell’estate 2023 è successo il contrario.
“Nelle ultime stagioni i cambiamenti climatici, spesso imprevedibili, hanno generato grandi criticità sulla quantità e sulla qualità. Ci aspettavamo un raccolto abbondante ma le piogge intense di aprile e maggio hanno stravolto lo scenario”, spiega Massimo Menna, presidente del Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano IGP che raggruppa 16 aziende campane per una produzione complessiva pari a centomila tonnellate di pasta nel 2022 e un valore al consumo di circa 400 milioni di euro.
Nei giorni scorsi, alla riapertura delle Borse Merci di Bari e di Foggia, sono state registrate flessioni nelle quotazioni del grano comprese fra i 43 e i 60 euro a tonnellata. Decisamente meno consistente il calo del grano duro di importazione canadese: -10 per cento. Ma le quotazioni della materia prima incidono del 20 per cento sul prezzo finale della pasta che acquistiamo al supermercato. Prezzo che dipende da più fattori.
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Fonte: L’espresso