I prodotti agroalimentari dell’Unione Europea sono riconosciuti a livello globale per gli elevatissimi standard qualitativi, ambientali e di sicurezza alimentare che i nostri agricoltori e l’intera filiera produttiva rispettano ogni giorno. E il Green Deal lanciato l’anno scorso dalla Commissione UE, con la sua strategia “Farm to Fork” non potrà prescindere da questo valore aggiunto e da una politica commerciale dell’Unione in un contesto internazionale. Per questo nei giorni scorsi, come commissione Commercio internazionale (Inta) del Parlamento UE, abbiamo sollecitato l’esecutivo comunitario a presentare quanto prima una valutazione d’impatto dei target individuati e proposte proporzionali al raggiungimento degli obiettivi. In linea di principio siamo tutti d’accordo di voler perseguire, da qui al 2030, un patto con i consumatori “Dal campo alla tavola” facendo leva su un’agricoltura più green e rispettosa dell’ambiente. Ma questo dovrà avvenire tutelando il reddito degli agricoltori e mettendo gli stessi nelle condizioni di ricorrere a input produttivi e tecnologie all’avanguardia. Ricordiamo che il sistema alimentare europeo è di primaria importanza per l’economia dell’Unione, con oltre 47 milioni di persone che in oltre 15 milioni di aziende producono beni per un fatturato annuo di quasi 900 miliardi di euro. La base di una filiera strettamente collegata a circa 300mila imprese dell’industria alimentare e delle bevande, che a loro volta forniscono prodotti alimentari a quasi 500 milioni di consumatori. Al tempo stesso non possiamo dimenticare che l’Unione Europea è il primo importatore ed esportatore mondiale di beni agroalimentari. E questa è una posizione che dobbiamo sfruttare per definire standard internazionali di sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale e di rispetto dei diritti umani e dei lavoratori: la cosiddetta “condizionalità sociale” che non a caso, secondo noi, dovrà essere parte integrante anche della prossima Politica Agricola Comune. Per questo, come responsabile delle questioni internazionali della “Farm to Fork”, ho fatto presente che servono capitoli vincolanti sullo sviluppo sostenibile in tutti gli accordi commerciali dell’Unione. Il problema è sostanziale, perché gli obiettivi ambiziosi indicati dall’Unione con questa strategia – obiettivi che noi, peraltro, condividiamo pienamente – in mancanza di una convergenza e reciprocità degli standard produttivi rischiano di mettere i nostri operatori in una situazione di svantaggio nei confronti dei competitor internazionali. Per questo chiediamo che per tutti i prodotti agricoli, alimentari e forestali importati nell’UE venga imposto l’obbligo di rispettare le stesse norme. E poi, a valle della filiera c’è un altro problema. Di fronte a una concorrenza internazionale senza regole precise i nostri consumatori potrebbero subire repentini aumenti dei prezzi del cibo; prodotti agroalimentari che fino a oggi sono arrivati sulle loro tavole a prezzi più o meno accessibili per tutti, nonostante gli altissimi livelli di qualità e salubrità che i produttori dell’Unione già garantiscono. Tra le questioni che vorremmo fossero introdotte nella Strategia c’è quella del ruolo cruciale delle Indicazioni Geografiche e della politica di promozione. Elementi che possono essere determinanti per esportare i nostri standard produttivi, così come la trasparenza e la tracciabilità lungo la filiera anche tramite l’etichettatura d’origine obbligatoria di tutti i prodotti, europei ed extra-europei. Non ultima, la necessità di istituire collaborazioni con i nostri partner commerciali sul fronte della ricerca e dello sviluppo scientifico e tecnologico. L’obiettivo, ripeto, è che i nostri produttori abbiano a disposizione valide alternative per produrre di più, in modo sostenibile e con meno input. E qui, su questo versante, esiste un ventaglio di opportunità che andranno sfruttate, dallo smart farming alle biotecnologie sostenibili. Diversamente, qualunque approccio ideologico avverso porterebbe a una perdita repentina di produttività, accompagnata da un aumento dei prezzi che renderebbe i prodotti europei accessibili solo a un’ élite di consumatori.
A cura di Paolo De Castro
Fonte: Consortium 2021_01