Gastroletteratura: cosa c’entra il Sommo Poeta fiorentino con le nostre tavole da pranzo? Molto, soprattutto in chiave metaforica, ma anche per ciò che riguarda il nome di prodotti e alimenti che saggiamo quotidianamente.
Molti sono i motivi per cui ancora oggi Dante Alighieri viene celebrato e ricordato in Italia e nel mondo. Per farsi un’idea della popolarità di cui gode il Poeta fiorentino a livello internazionale, basti pensare che la Divina Commedia è l’opera più tradotta in assoluto, seconda solo alla Bibbia. Considerato il padre della lingua italiana nonché precursore della cospicua letteratura europea del Quattrocento, Dante Alighieri è una figura tuttora ben impressa nell’immaginario collettivo mondiale come uno dei massimi esponenti culturali dell’epoca.
Eppure, quando tra il 1304 e il 1307, il Sommo Poeta, costretto in esilio, componeva il suo saggio filosofico-dottrinale rimasto incompiuto (Convivio), di certo non aveva previsto che a distanza di settecento anni dalla sua scomparsa qualcuno si sarebbe cimentato nell’analisi della sua poetica in chiave “enogastronomica”, fino a scorgervi un vero e proprio precursore del fenomeno del “made in Italy”. Parlare del contributo di Dante Alighieri al processo di patrimonializzazione del cibo italiano non risulta così azzardato come potrebbe sembrare a prima vista.
Innanzitutto, bisogna ricordare che in molte delle sue opere Dante di cibo ne parla, eccome, soprattutto in chiave metaforica. Come spiegato magistralmente da Luca Serianni: “Le notevoli ricorrenze delle parole ‘fame’ e ‘cibo’ sia nell’accezione terrena che in quella metaforica come ‘fame di sapere’ rappresentano un aspetto importante della Divina Commedia”. Ma se andiamo a vedere nello specifico perché Dante usa questo modo di raccontare le cose, forse vale la pena ricordare che da alcuni anni erano iniziati ad essere pubblicati dei manoscritti di enogastronomia in latino volgare, tra cui il celebre ricettario di cucina “Liber de coquina”. Tali libretti, oltre ad offrire a un pubblico più ampio uno strumento di conoscenza sul cibo, consentirono ai poeti, prima ancora degli antropologi, di individuare nel cibo una forma efficace per descrivere il modo di vivere dell’uomo calato in determinati contesti sociali ed epoche. Possiamo inoltre aggiungere una ulteriore riflessione prendendo in prestito quella di Italo Calvino che, nelle sue “Lezioni americane” sulle opere di Dante, sottolinea come: “Tutto il mondo è organizzato in un sistema, in un ordine, in una gerarchia dove tutto trova il suo posto”. E il cibo, ad una attenta lettura delle sue opere, assume un posto di rilievo nella visione del mondo del Poeta.
Prima di addentrarci nei meandri della letteratura dantesca alla scoperta di riferimenti ai prodotti agroalimentari che oggi vantano la protezione DOP o IGP, occorre fare una breve premessa su cosa si intenda per patrimonializzazione del cibo e sul rapporto che intercorre tra quest’ultima e i prodotti Indicazioni Geografiche. Senza poter dar conto in questa sede delle numerose accezioni di “patrimonializzazione” esistenti o indugiare sul dibattito sui possibili limiti e, a volte, paradossi riscontrati da vari studiosi in relazione al recente dilagare di tale fenomeno, ci limitiamo qui a riportare che per patrimonializzazione, di norma, ci si riferisce ad un processo inclusivo e continuativo che consiste nell’individuazione e riconoscimento di ciò che viene considerato “patrimonio” (Heritage) da una collettività. In particolare, la patrimonializzazione “consapevole” del cibo italiano mostra radici lontane; partendo dall’opera dell’Artusi, o addirittura scomodando l’art. 9 della nostra Costituzione, arriva ben consolidata fino ai giorni nostri.
Furono soprattutto le procedure di c.d. “food labelling” avviate nel contesto dell’Unione Europea e dell’UNESCO a dare decisivo impulso alla patrimonializzazione del cibo. Ciò avvenne rispettivamente con i Regolamenti CEE n.2081/1992 e n.2082/1992 sulla tutela dei prodotti DOP e IGP (oggi confluiti nel Reg. UE n.1151/2012) che riconoscono la varietà della produzione agricola come parte integrante del patrimonio culturale e gastronomico vivo dell’UE, e con la Convenzione del 2003 sulla Promozione e protezione del patrimonio immateriale, che sette anni dopo portò al riconoscimento della Dieta Mediterranea come Patrimonio Culturale dell’Umanità, seguita negli anni da altri simboli legati alla nostra cultura rurale e agroalimentare, come la vite ad alberello di Pantelleria (2014) o l’Arte dei muretti a secco (2018), o al nostro paesaggio rurale, tra cui i Paesaggi vitivinicoli del Piemonte (2014) e le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene (2019).(…)
Fonte: Linkiesta.it