Il documentario “Un point c’est tout! mostra come non riguardino solo il cambiamemento climatico le cause che stanno provocando la scomparsa dei vigneti francesi legati anche ai grandi nomi di Borgogna, Bordeaux e Champagne
Nel vigneto di Francia, non c’è solo il tema dell’estirpo di 100.000 ettari, nel giro di 2-3 anni, per riequilibrare domanda e offerta, tagliando la produzione di livello più basso che si sta trovando senza mercato, con tanto di aiuti per 150 milioni di euro stanziati dal Governo.
Perchè anche i vigneti da cui nascono i grandi e preziosi vini francesi, che sul mercato di problemi non ne hanno, stanno scomparendo. O meglio, per citare alla lettera, “morendo”.
È l’allarme lanciato da grandi nomi del vino francese, e non solo, come Anselme Selosse (Jaques Selosse), Jean Louis Chave (Domaine Jean-Louis Chave), Peter Sisseck (Dominio de Pingus in Spagna e Château Rocheyron a Bordeaux, tra gli altri) e Lalou Bize Leroy (che, per anni, ha guidato, insieme ad Aubert de Villaine, Domaine Romanée-Conti), tra gli altri, chiamati a raccolta dal vivaista francese Lilian Bérillon, nel nuovo documentario intitolato “Un point c’est tout! (Punto e basta!)”, on line da poche ore.
La constatazione di partenza è allarmante: molti dei grandi vigneti del mondo, da cui nascono vini unici, o, stanno affrontando una morte lenta, un vero deperimento del vigneto ancora poco conosciuto.
E la colpa non è del riscaldamento climatico che ne è solo la causa, sostiene il documentario, ma di una pianta che manca “crudelmente” di diversità, una pianta prodotta in modo industriale e incapace di invecchiare, ma anche una pianta che non è ancora considerata come si deve da molti vignaioli.
I 52 minuti di questo documentario apportano importanti elementi di risposta agli interrogativi su questo tema.
A partire dal fatto che solo di recente ci si è accorti dell’importanza dell’aspetto agronomico e della cura della vigna, mentre per anni la maggiore attenzione si è concentrata sull’enologia in cantina (non senza risultati positivi importanti, ndr), e che oggi, a detta di alcuni dei produttori interpellati, si rischia di mettere in discussione il concetto stesso di terroir, perchè le viti prodotte in modo “industriale”, con poca varietà e prospettive di vita non così lunghe, rischiano di non avere più la capacità di far esprimere nel vino i caratteri e l’unicità dei territori, dei vigneti e dei microclimi, con la varietà di uva che come espressione sta diventando più forte di quella del territorio.
In un percorso che, di fatto, metterebbe in discussione il modello della viticoltura francese (ma anche italiana), dove nel vertice alto della qualità, rappresentata dalle denominazioni (e sempre più dalle loro sottozone) la territorialità è un pilastro qualitativo, comunicativo e valoriale determinante.
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Fonte: WineNews