Dall’intesa tra le associazioni di categoria Afidop e Fipe il vademecum per non mortificare il formaggio, un vanto del made in Italy.
“Come si fa a governare un Paese con 246 differenti tipo di formaggio?”, si chiedeva Charles de Gaulle, riferendosi alla sua Francia. Figuriamoci che cosa avrebbe detto il temibile generale a proposito dei suoi poco amati vicini italiani, che di formaggi ne vantano 487, praticamente il doppio. Insomma, Italia batte Francia 2-1, al netto delle instabilità dei rispettivi esecutivi.
Eppure qui da noi non è che i formaggi se la passino tanto bene. Certo, i numeri sono in crescita, i 55 formaggi DOP e IGP nel 2023 hanno fatto registrare un aumento del 2,7 % di produzione e il fatturato alla produzione ha superato i 5 miliardi di euro (quello al consumo è a 8,6 miliardi). Ma il modo in cui sono proposti nei ristoranti è nella gran parte dei casi sbagliatto, contrariamente a quello che accade in Francia, dove un buon carrello dei formaggi è la norma anche nei ristoranti medi e dove spesso un Camembert o un Roquefort è suggerita come una buona alternativa a un dessert.
Ma ora le cose dovrebbero cambiare, grazie al patto concluso tra l’Afidop, l’associazione dei produttori dei formaggi tutelati, e la Fipe, la federazione dei pubblici esercizi.
Il protocollo d’intesa prevede delle linee guida su come 21 dei 55 formaggi italiani DOP e IGP (ma presto se ne aggiungeranno degli altri) dovranno essere presentati nei ristoranti di ogni livello.
Il primo passo è l’uso corretto ed esteso del nome. Si dovrà scrivere nel menu ad esempio Mozzarella di Bufala Campana DOP e dovranno essere anche indicata la tipologia e la forma. Dovranno essere assolutamente evitate diciture di fantasia o spannometriche. Sarà anche opportuno riportare in menu la stagionatura, aspetto molto importante.
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Fonte: Il Giornale