Dal 2009 infatti questo prodotto storico ha ottenuto la certificazione di qualità e viene realizzato seguendo regole ferree e metodi tradizionali. La filiera è controllata dall’allevamento alla “sfossatura”, che è la fase più caratteristica dell’intero processo produttivo ed è quella che conferisce al formaggio – che può essere vaccino, pecorino o misto – un sapore diverso da tutti gli altri. Stagionato due volte. Passati almeno due mesi di stagionatura, il formaggio di Sogliano non è ancora pronto per essere mangiato perché le forme devono essere portate in fosse sotterranee di roccia arenaria, larghe e profonde tre metri e rivestite con uno strato di paglia. Le fosse, che in molti casi hanno secoli di storia alle spalle, vengono riempite fino all’imboccatura perché all’interno ci sia meno ossigeno possibile, poi vengono chiuse con un coperchio e sigillate con gesso o malta. Questo processo, chiamato “infossatura”, si ripete per due volte l’anno: in primavera e in estate. In questi giorni di novembre gli sfossatori, tutti vestiti di bianco, stanno tirando fuori i formaggi estivi.
Fosse secolari. Il territorio a cavallo tra Marche e Romagna è disseminato di fosse come quelle di Sogliano. L’origine precisa non si conosce, forse erano già utilizzate dai romani come ghiacciaie per conservare il cibo nei mesi più caldi. Di sicuro, già alla fine del Quattrocento – quando queste terre erano dominate dai Malatesta – venivano usate (spesso affittate) per conservare i formaggi. Una DOP a metà strada. Il formaggio di fossa è un prodotto di altissima qualità, eppure non è riuscito a farsi conoscere in Europa e nel mondo, in più il Consorzio di tutela locale sta per chiudere trasformandosi in semplice associazione, perdendo lo status giuridico attribuito dal ministero delle Politiche agricole. Secondo l’ex presidente Rossini i costi erano insostenibili: “Circa 10.000 euro solo per tenerlo aperto, nel frattempo molte aziende avevano già lasciato il Consorzio e altre avevano chiuso”.
I compiti di promozione e tutela ora saranno svolti solo da Roma. “Certo non ci si può aspettare che il Ministero organizzi e finanzi una campagna pubblicitaria televisiva, questi sono compiti che svolgono i Consorzi” spiega Mauro Rosati, direttore della fondazione Qualivita che si occupa di valorizzare le produzioni DOP, IGP e STG. “In assenza di un consorzio locale, il Ministero fornisce informazioni al consumatore e tutela il prodotto”. Dunque, non cambierà molto: fuori dal centro Italia non è facilissimo conoscere il formaggio di fossa, perché, come confermano gli stessi produttori, non si è mai investito in promozione.
Fonte: National Geografic Italia