Adesso ci provano Ivrea e le colline dei Prosecco. Perché aggiudicarsi il marchio fa bene al cuore ma anche al portafogli. A giorni il verdetto. Non è solo una questione di prestigio. Diventare patriimonio dell’umanità sotto l’egida dell’Unesco si porta dietro solidissime ricadute economiche. Sia dal punto di vista turistico, che da quello della tutela del territorio. Sia un luogo, un marchio, o anche, come nel recente caso della pizza, un alimento.
Quest’anno l’Assemblea generale Unesco si riunirà a Manama, in Bahrein, dal 24 giugno al 2 luglio e dovrà scegliere i “vincitori”. L’Italia ha due candidature: la città industriale di Ivrea e le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. Se arrivasse il via libera, il nostro Paese, che con i suoi 53 beni detiene il primato con più luoghi sotto tutela al mondo, vedrebbe allungarsi la lista. Cosa non da poco. Studi alla mano, infatti, si stima che avere il bollino Unesco significhi un aumento dei visitatori dal 12 al 50 per cento negli anni che seguono alla designazione. Questo perché la credibilità del riconoscimento è assodata.(…)
E si torna così alla due candidate italiane. A partire da Ivrea, che rappresenta un modello alternativo di città produttiva, secondo l’idea olivettiana di architettura integrata tra fabbrica e abitazione civile. Tutto, all’interno di questa cittadina, è stato pensato per far assorbire l’industrializzazione nel tessuto urbano già esistente. Ed è per questa caratteristica che già dal 2008, in accordo con il Mibac, la Regione Piemonte e il Comune diTorino, Ivrea ha avviato l’iter per la candidatura.
Le colline di Conegliano e Valdobbiadene, invece, hanno ricevuto uno stop da Icomos, l’organo italiano deputato a fare una prima ‘scrematura” dei candidati, che ha puntato il dito sulla “non originalità del terrltorio”. (…)
Non tutti però sono felici di essere riconosciuti Patrimonio dell’umanità. È il caso delle colline di Langhe-Roero e Monferrato dove i produttori di vino sono arrabbiati per i vincoli a tutela dell’ambiente, considerati troppo stringenti per le loro aziende agricole.
Fonte: Il Venerdì di Repubblica