Una parte i mercati internazionali da conquistare, anche attraverso processi di filiera digitale tutta da costruire, dall’altra gli ostacoli quotidiani che frenano l’espansione: uno su tutti l’insularità. Viaggia a marce ridotte il processo di internazionalizzazione delle aziende sarde che operano nell’agroalimentare. La creazione di piattaforme all’estero e di reti di impresa potrebbe però essere la chiave per aumentare la competitività.
Ne sanno qualcosa alla Argiolas. L’azienda casearia sarda realizza all’estero il 20% del proprio fatturato, che si aggira intorno i 6 milioni di euro l’anno tra bio, pecorini e caprini tradizionali e muffati. Fa rotta su Giappone, Stati Uniti, Australia e Perù e in tutti i paesi europei con un maggiore flusso in Germania. A frenare l’ulteriore crescita verso l’estero è la posizione nel Mediterraneo: strategica in alcuni casi, ma penalizzante in molti altri. E quando si devono fare i conti con il trasporto dei prodotti locali verso la penisola ma anche verso altri paesi, il mare diventa un problema. “Per le aziende sarde che si affacciano ai mercati internazionali c’è un ostacolo in più che è l’insularità – chiarisce Alessandra Argiolas, imprenditrice dell’omonima azienda -, sia per le persone che per le merci. I trasporti per le merci deperibili sono un grosso limite, per i tempi, poiché accorciano notevolmente le scadenze, soprattutto per chi come noi ha impostato la produzione sulla naturalità, sul bio e sulla sostenibilità ambientale.”
Fonte: Il Sole 24 ore