L’export può e deve essere una risposta a patto che le aziende del settore siano messe in condizioni di esprimere tutto il proprio potenziale
Quando si parla di Made in Italy e soprattutto di commercio estero spesso ci si limita ad analizzare il trend congiunturale, lasciando in secondo piano le dimensioni di un fenomeno che vale per il nostro Paese circa 660 miliardi di euro: un terzo del Pil, quindi un ambito cruciale per l’economia nazionale. È quindi dalla competitività delle aziende esportatrici che dipendono in larga misura le sorti dell’economia, considerando anche le filiere che a quelle imprese sono collegate.
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Gli incentivi all’internazionalizzazione sono infatti essenziali ma non sufficienti. Servono politiche e piani di crescita e sviluppo che mettano al centro formazione, geografie commerciali nuove, lotta alla contraffazione e al cosiddetto Italian sounding che fa perdere alle nostre aziende agroalimentari decine di miliardi di euro ogni anno.
Se i prodotti Made in Italy acquistati nel mondo fossero tutti realmente tali, l’export agroalimentare passerebbe dagli oltre 5o miliardi di euro attuali a quasi 130. Se poi si riuscissero a sostituire anche i prodotti contraffatti si supererebbero i 150 miliardi. In pratica l’export agroalimentare si potrebbe moltiplicare per tre, con vantaggi enormi per i nostri agricoltori, le industrie di trasformazione e l’economia italiana nel suo complesso.
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Fonte: Il Sole 24 Ore