Il made in Italy agroalimentare italiano vola all’estero, ma incombono alcuni ostacoli legati all’aumento esponenziale dei prezzi delle materie prime e al rischio di imitazioni
Entro la fine di quest’anno il made in Italy agroalimentare dovrebbe sfondare il tanto atteso tetto dei 5o miliardi di euro di esportazioni, “ma se negli ultimi dieci anni i consumi interni sono calati dello% nello stesso periodo le esportazioni sono aumentate del 92%”, ha detto Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, intervenendo alla tavola rotonda dedicata al food & wine italiano durante la seconda giornata del Made in Italy Summit 2021.
Sulla corsa del cibo e del vino italiano all’estero, però, incombono alcuni ostacoli. Il primo è l’aumento esponenziale dei prezzi delle materie prime: “Noi siamo un paese di trasformatori, compriamo le materie prime dall’estero – ha ricordato Vacondio – io temo che questo aumento dei costi non sia una bolla, ma un fenomeno inflattivo strutturale”.
Il secondo è il rischio imitazioni: “Per quanto il nostro export cresca, c’è un Italian sounding che cresce più di noi – ha detto Luigi Scordamaglia, consigliere delegato della Fondazione Filiera Italia – negli Usa ogni cinque prodotti con la bandiera italiana, quattro sono finto made in Italy. Dobbiamo presidiare legalmente le nostre produzioni”.
Per certi versi, lo sviluppo del turismo può rivelarsi un’utile arma di contrasto all’Italian sounding: “Il vino dovrebbe raggiungere i 7 miliardi di export quest’anno – ha ricordato Stefano Ricagno, vicepresidente senior per il Consorzio per la tutela dell’Asti Spumante e del Moscato d’Asti DOP -. Un modo efficace per fare promozione è quello di puntare sul turismo enogastronomico, che è anche uno strumento per combattere l’Italian sounding poiché fa conoscere ai consumatori stranieri quale è il vero prodotto made in Italy”.
Il 90% dell’export agroalimentare italiano, poi, è fatto solo dal 5% delle imprese del settore: “Siamo un Paese di aziende piccole e medie – ha ricordato Marco De Matteis, amministratore delegato della De Matteis Agroalimentare, che in Campania produce tra le altre cose la pasta a marchio Armando -. Per andare all’estero, abbiamo bisogno di un sistema Paese che difenda i nostri asset e combatta le mode alimentari nuove, che possono condizionare a lungo termine l`appeal del made in Italy alimentare”.
Contrastare trend come quelli della carne sintetica, ad esempio. Ma anche gli attacchi alla dieta mediterranea, accusata di non essere sostenibile: “La verità – ha detto Vacondio – è che dietro queste accuse si nasconde un tentativo di cambiare le regole per mettere i bastoni tra le ruote alla competitività dei prodotti italiani nel mondo”.
Per il settore agroalimentare, quello della sostenibilità è un tema sensibile: “Diventa un’opportunità quando è competitiva – ha spiegato Scordamaglia – l’Italia infatti è seconda al mondo per robot utilizzati nel settore alimentare e stiamo diventando modello globale anche per il precision farming. Quella che invece non va bene è la sostenibilità di tipo ideologico, che chiede di smettere di inquinare semplicemente smettendo di produrre”.
Soprattutto, essere sostenibili ha un costo: “Chi non è d’accordo ad avere un mondo migliore?- ha aggiunto Ivano Vacondio-. Ma la sostenibilità è fatta di tre gambe: ambientale, economica e sociale. Sta in piedi solo se si garantiscono tutte e tre”.
Semplificando, la via della sostenibilità può essere quella di “mangiare un po’meglio, un po’ meno ma italiano“, ha detto Scordamaglia. Un pensiero condiviso anche da Melissa Forti, pasticciera, chef e imprenditrice italiana all’estero: “I consumatori cercano già di mangiare meno e spendere meglio, ma si tratta di una vera e propria questione culturale per la quale fare educazione. Ovunque sono andata nel mondo però, da Dubai alla Germania, quando si parla di Italia gli occhi si sgranano e le persone sorridono. Perché siamo sinonimi di lifestyle e qualità”.
Fonte: Il Sole 24 Ore