Pochi i produttori che esibiscono etichette DOP. Raccolto dimezzato. Tra le stime sulle olive, quella della Cia-Agricoltori italiani è la più pessimistica: dall’indagine eseguita da Italia Olivicola – l’associazione di settore nata dalla fusione del Cno, Consorzio nazionale degli olivicoltori, con il consorzio Unasco emerge una previsione di produzione di poco superiore alle 215 mila tonnellate contro le 430 mila tonnellate dello scorso anno. Le rilevazioni Ismea si attestano invece a un calo del 38%. Lo scenario appare comunque drammatico. La campagna 2018 è un’annata di “scarica”: con pochi frutti sulle piante.
Gelate, grandinate, bombe d’acqua, vento Burian: ci si è messo di tutto, tanto da indurre alcune autorità locali a richiedere lo stato di calamità naturale. Come se non bastasse la xylella, anche le condizioni climatiche hanno penalizzato la Puglia, tra le più colpite, con -56%, La Calabria ha subito gli attacchi di agenti patogeni e un’estate ballerina, che ha inferto -70. Al Nord, situazione a macchia di leopardo con l’Emilia Romagna che segna un crollo del 60%. Situazione tanto più difficile da fronteggiare se si pensa che il settore è estremamente frammentato. “Si conta un milione di produttori- racconta Dino Scanavino, presidente di Cia-Agricoltori italiani – un’atomizzazione che rende difficile introdurre nuove tecniche innovative”.
Negli Usa, e anche in Spagna, va di moda l’allevamento superintensivo, tutto meccanizzato. Un modello che non renderebbe giustizia alla qualità del nostro prodotto, riconosciuto in tutto il mondo come il top: “Abbiamo 538 varietà di cultivar, la Spagna ne ha 10, il nostro è un patrimonio ricco e variegato che non ha uguali“, spiega Scanavino. Ma la maggior parte degli olii, imbottigliati o in latta, sono genericamente Made in Italy. Pochi ancora i produttori che esibiscono etichette DOP, denominazione di origine protetta, o IGP indicazione geografica, che può comprendere olive di diversi territori, purché identificabili. Droni, sensori: la tecnologia potrebbe scongiurare i falsi, supportando il controllo della filiera, garantendo la provenienza ed esaltando la varietà. Consorziarsi, unire know-how e macchinari funziona, come funziona nel mondo del vino. Ma non basta.
Fonte: Repubblica Affari&Finanza