Prosecco-Prosek Vini completamente diversi ma nomi simili. Contrasti sul riconoscimento dop in sede comunitaria.
L’ingresso della Croazia nell’Unione Europea è senza dubbio un evento storico. In questi giorni però, una questione concreta si pone sul cammino comune di Italia e Croazia: la disputa tra due vini, il Prosecco e il Prosek. Due vini, le cui somiglianze si fermano alla similitudine fonetica del nome. Il primo, italiano, è famoso nel mondo e produce 300 milioni di bottiglie; il secondo, appartenente alla tradizione dalmata, è un vino liquoroso prodotto nell’ordine delle 10mila bottiglie, non ha la stessa notorietà e neppure lo stesso successo commerciale nonostante in Croazia sia effettivamente un prodotto della tradizione.
Ma se le somiglianze sono minime, il problema potrebbe non esserlo. Dal 1 luglio, infatti, il Prosek potrà essere commercializzato nell’Ue rischiando d’ingannare i cittadini e di creare danni economici per i circa 8mila produttori italiani. Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha ricordato «con il prosecco croato si staverificando la stessa partita del Tocai», partita in cui dal 2007 i produttori del vino friulano hanno dovuto rinunciare alla denominazione di origine controllata perché troppo simile alla Dop ungherese Tokay. All’epoca il principio fu che il nome di un vino poteva essere protetto nel caso in cui facesse riferimento a una specifica località geografica. Da questo punto di vista i Consorzi di Tutela legati al Prosecco hanno già fatto presenti le ragioni della Dop (denominazione di origine protetta) italiana. Ma non sta qui il centro della questione perché non stiamo parlando solo di problematiche economiche, bensì di norme che definiscono il sistema delle indicazioni geografiche e di regole che garantiscono il funzionamento della comunità europea in quanto tale.
Per Stefano Zanette, presidente del Consorzio di tutela del Prosecco Dop, «il trattato di adesione della Croazia alla Ue non prevede la protezione dei nome Prosek. Prosecco invece è riconosciuto come Dop e secondo le norme europee nessun prodotto che evochi un’indicazione geografica protetta può essere immesso sul mercato comunitario». In Croazia però le cose non sembrano essere così chiare. Il ministero croato dell’Agricoltura nei mesi scorsi ha emanato un comunicato stampa, poi ritirato, con cui si sosteneva l’impossibilità di commercializzare il Prosek, così etichettato, sul territorio comunitario. Il brusco passo indietro si deve probabilmente alla protesta dei produttori dalmati preoccupati anche dalla profonda recessione. In Croazia l’agricoltura ha un ruolo notevole nelle tipologie di occupazione con il 10,9% del totale degli occupati, cioè il doppio della Ue, stabile al 5%.
Bisogna evitare, con decisione, che la questione del Prosek costituisca non solo un problema per il Prosecco, ma un elemento che mini dalle fondamenta la credibilità del sistema comunitario delle denominazioni di origine, strumento importante che l’Unione europea si è data per affrontare le grandi sfide economiche internazionali, quelle in grado di farci uscire da una crisi economica profonda. In questo momento c’è assoluto bisogno di trovare punti di forza e non di debolezza per aumentare la credibilità della politica europea, l’auspicio è che l’ingresso della Croazia sia significativo in maniera positiva, a partire dal Prosek. Un dato è certo: l’area balcanica entrando in Europa vuole giocare un ruolo di primo piano anche sulle produzioni agroalimentari.