Dopo aver garantito anche in piena emergenza la continuità nelle forniture di beni alimentari alle famiglie italiane, le imprese del food made in Italy vogliono ripartire. Uno dei settori chiave dell’economia italiana, secondo comparto economico del Paese alle spalle della meccanica ma anche un settore che – grazie a prodotti come il vino, la pasta e ai prodotti a denominazione d’origine – è soprattutto un vero e proprio ambasciatore del made in Italy nel mondo, vuole ritrovare la propria centralità sui mercati.
È quanto è emerso dalla tavola rotonda dedicata al Food & Wine tra sviluppo sostenibilità e innovazione che si è tenuta ieri nell’ambito della manifestazione Made in Italy – The Restart, organizzata da II Sole 24 Ore e il Financial Times. Il comparto del Food & Wine ha messo in luce alcune specificità nel corso dell’emergenza Covid 19. Da un lato infatti non è mai stato in lockdown. Le aziende agricole le industrie alimentari non hanno mai smesso di lavorare, chiamate ad assicurare le forniture di prodotti agroalimentari alle famiglie italiane. Aspetto quest’ultimo che si è riflesso in una tenuta dei fatturati o comunque in una loro flessione non paragonabile a quella subita da altri comparti dell’economia.
«Il sistema ha retto – ha sottolineato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – ed è riuscito a trasferire serenità ai cittadini in un momento molto complicato». Tuttavia, non è stato un percorso facile. Perché gli operatori dell’agroalimentare italiano sono stati chiamati a proseguire le proprie attività in condizioni completamente mutate rispetto al passato. Con un lungo elenco di prescrizioni e di regole di sicurezza da seguire. In secondo luogo il settore agroalimentare pur continuando a funzionare non è stato certo al riparo dai danni. In particolare ciò che ha pesato, e continua a pesare, in maniera consistente sui bilanci delle imprese è stato il black out del canale Horeca, ovvero la prolungata serrata di bar e ristoranti. Un aspetto che non solo ha cancellato un canale distributivo delle imprese (per alcune addirittura esclusivo). Ma soprattutto le ha private della modalità di vendita che, sia in Italia che all’estero, è in grado di remunerare al meglio il valore aggiunto dei prodotti, ovvero di premiare gli sforzi compiuti negli anni dalle imprese per raggiungere un posizionamento medio alto per le proprie produzioni.
«Anche per noi agricoltori che siamo abituati ad avere a che fare con gli imprevisti meteo il lockdown è stata una batosta pesante – ha spiegato la presidente della Marchesi Antinori, Alberia Antinori -. C’è stata in estate una piccola ripresa del turismo ma il saldo con lo scorso anno è ancora molto negativo. E lo sguardo è ora tutto rivolto alle prospettive».
L’industria alimentare ha dovuto far fronte a criticità nuove «E le ha affrontate – ha aggiunto Paolo Barilla, vicepresidente del gruppo omonimo – attraverso la propria cultura d’impresa. Quella che ci consente di mantenere una uniformità di azione pur essendo divisi in 24 stabilimenti produttivi in giro per il mondo e che ci ha garantito una risposta rapida ai nuovi adempimenti e alle nuove problematiche legate alla pandemia».
«Lo sforzo messo in campo da tutta la filiera agroalimentare è stato ingente – ha aggiunto il direttore generale di Ismea, Raffaele Borriello -. Basti ricordare che nelle prime settimane in alcune regioni del Sud si è verificata una corsa agli approvvigionamenti. Ma a parte quell’episodio dovuto più all’emergenza iniziale i prodotti agroalimentari non sono mai mancati dagli scaffali». Adesso è invece il momento di progettare la ripartenza, l’elemento chiave è l’innovazione. «L’agroalimentare italiano – ha aggiunto Paolo Barilla – è talvolta troppo concentrato sulla tradizione, mentre non bisogna dimenticare che il gusto, soprattutto quello internazionale e delle nuove generazioni si evolve. Pertanto occorre individuare strade nuove per coniugare il rispetto delle tradizioni con l’offerta di nuovi prodotti sui mercati».
«E la mancanza di innovazione può essere anche “burocratica” – ha aggiunto il presidente del Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana DOP, Domenico Raimondo -. Noi abbiamo bisogno di rinnovare i formati con i quali presentare i nostri prodotti al mercato ma la necessaria richiesta di modifica del nostro disciplinare è ferma da mesi al ministero delle Politiche agricole».
Un deciso cambio di passo può venire proprio con le nuove prospettive legate anche al Recovery Fund. «Sul fronte della digitalizzazione abbiamo già fatto qualche passo avanti – ha spiegato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – con l’accordo stretto con Tim per portare la banda larga e il 5G nelle aree interne e nelle zone rurali. Questo ci consentirà di sviluppare grazie all’agricoltura di precisione delle risposte sul fronte delle tecniche di coltivazione in grado di fronteggiare i cambiamenti climatici. Mentre grazie a un ricorso su vasta scala alla blockchain ci aspettiamo di avere una nuova generazione di informazioni sulla tracciabilità da comunicare ai consumatori rafforzando la distintività dei nostri prodotti».
Fonte: Il Sole 24 Ore