Peri prodotti alimentari Dop e Igp il tempo del «piccolo è bello» è finito. Il settore, che rappresenta la punta più avanzate del food made in Italy, ha raggiunto un giro d’affari di quasi 12 miliardi. E anche se resta spesso associato all’idea di produzioni artigianali e di nicchia ha compiuto importantipassi avanti grazie al decisivo apporto dell’industria alimentare e di imprese distributive.
È quanto emerso nel corso della presentazione della decima edizione del rapporto Qualivita, la fondazione che insieme a Ismea e per conto del ministero per le Politiche agricole effettua un monitoraggio dell’universo dei prodotti a denominazione d’origine. L’Italia mantiene saldamente la leadership europea dei riconoscimenti (248 contro i 198 della Francia i 160 della Spagna e i 118 del Portogallo) che nonostante la crisi economica hanno registrato un giro d’affari alla produzione di 6,5 miliardi (+ 6,9%) che diventano 11,8 al consumo (con una crescita rispetto all’anno precedente del 5,5%). Un fatturato realizzato per il 34% all’estero.
Il trend di crescita è in buona parte legato al sempre maggiore impegno nel settore, soprattutto nei segmenti chiave dei formaggi e dei salumi, delle industrie alimentari. Una tendenza che nel 1992, quando fu varato il sistema Ue delle denominazioni d’origine, era difficile da immaginare. All’epoca infatti i marchi Dop e Igp venivano percepiti soprattutto come prerogativa dipiccoliproduttori. «Nel settore dei formaggi – spiega Assolatte – non c’è mai stata una vera e propria contrapposizione fra piccoli e grandi. Tuttavia è indubbio che negli ultimi 1o anni in Italia si è assistito a un profondo processo di razionalizzazione dei caseifici passati da 48 a 398 e alla loro concentrazione su impianti di maggiore dimensione come Zanetti, Ambrosi, Latteria Soresina, Igor. Allo stesso modo è aumentato l’impegno di grandi multinazionali come la francese Lactalis, nel settore delle Dop made in Italy».
Stesso copione per i salumi dove sono sempre più numerose le aziende medio grandi che puntano ad avere nel proprio portafoglio produzioni a denominazione d’origine. «Anche nel nostro caso si è assistito a un processo di concentrazione – spiega il direttore di Assica (l’associazione degli industriali delle carni), Davide Calderone – che ha portato alla riduzione del numero degli stabilimenti e all’aumento della loro dimensione media. I crescenti investimenti dell’industria sui Dop hanno avuto un altro importante risvolto: offrire un palcoscenico internazionale. Un aspetto non secondario considerato che lo sviluppo del food a denominazione d’origine passerà sempre più dalla crescita sui mercati internazionali».
La marcia di avvicinamento fra le Dop e le grandi aziende ha interessato anche la distribuzione. Il rapporto Qualivita ha rilevato poi il peso crescente, accanto alla Gdo e ai tradizionali negozi al dettaglio, del canale Ho.Re.Ca. hotel e ristoranti. «Un ruolo sempre maggiore nello sviluppo dellevendite Dop – ha spiegato il segretario della Fondazione Qualivita, Mauro Rosati – viene dalla cosiddetta ristorazione “di massa”. Il riferimento è soprattutto a marchi come McDonald’s, nei cui meni c’è sempre più spazio per i prodotti locali e a denominazione d’origine, o ancora a CirFood, colosso (47omilionidifatturato e75milioni di pasti serviti l’anno) delle mense scolastiche e aziendali che fa capo alla Lega delle cooperative, e che sta portando avanti un ambizioso programma centrato sulla scoperta di 12 specialità locali dal prosciutto di Parma alle Lenticchie di Castellucciolgp».
Fonte: Il Sole 24 Ore
20121222_Il_Sole_24_ore.pdf