È stato presentato lo scorso 14 febbraio il Rapporto Ismea-Qualivita 2021, l’analisi della “DOP economy” italiana sui valori economici e produttivi dei settori agroalimentare e vitivinicolo DOP e IGP
Nell’anno della pandemia, sembra che la “DOP economy” abbia confermato il suo ruolo nei territori. Nel 2020 il settore italiano dei prodotti DOP e IGP ha raggiunto i 16,6 miliardi di euro di valore alla produzione (-2,0%), pari al 19% del fatturato totale dell’agroalimentare italiano. Se da un lato si interrompe il trend di crescita del settore, ininterrotto negli ultimi dieci anni, dall’altro si conferma la capacità di tenuta di un sistema di qualità diffuso in tutto il territorio nazionale. Il comparto agroalimentare DOP/IGP vale 7,3 miliardi di euro alla produzione e il vitivinicolo imbottigliato raggiunge 9,3 miliardi di euro. L’agroalimentare italiano DOP/ IGP/STG coinvolge oltre 86mila operatori, 165 consorzi autorizzati e 46 organismi di controllo. L’export dei prodotti certificati vale 9,5 miliardi di euro (-0,1%) pari al 20% delle esportazioni nazionali di settore. Le esportazioni hanno risentito degli effetti della pandemia soprattutto sui mercati extra UE, mentre sono cresciute verso i Paesi europei. A patire maggiormente è stato il comparto del vino che con 5,6 miliardi di euro mostra un calo dell’1,3%, mentre il cibo, con 3,9 miliardi di euro registra un incremento delle esportazioni in valore dell’1,6%.
Paolo De Castro, Coordinatore S&D alla Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo: Al di là dei danni e delle ripercussioni sulla salute pubblica, la pandemia da Covid-19 è stata una fase di transizione per l’economia agroalimentare con alcuni settori strategici, come quello dei formaggi a Denominazione di origine, che si confermano ad alto valore aggiunto sul mercato interno e su quelli globali. Non solo per i loro elevati standard di qualità, apprezzati e riconosciuti dai consumatori, ma anche per la loro intrinseca capacità di esprimere un patrimonio dei territori italiani che non è delocalizzabile. E questo nonostante i diffusi e frequenti tentativi di imitazione e le azioni fraudolente cui sono soggetti nel mondo. Le criticità e le opportunità sono insite nella unicità di questi prodotti, in quanto patrimonio fatto appunto di una materia prima, come il latte, di tecniche di lavorazione che si tramandano da secoli e che non sono replicabili al di fuori delle zone d’origine. Parliamo di fondamentali sui quali poi si innesta la capacità dei produttori e dei loro consorzi di tutela di programmare l’offerta per i mercati. La diversificazione produttiva in termini di stagionatura e la commercializzazione possono risultare determinanti per l’efficienza di tutta la filiera. Il futuro delle Indicazioni Geografiche è subordinato alle dinamiche di mercato e alla capacità dei produttori di realizzare economie di scala in un mondo che è in continua evoluzione e con una popolazione in aumento. Il peso specifico di prodotti identificabili e riconoscibili sul piano della qualità non può tuttavia prescindere da una corretta e costante informazione, che deve coinvolgere tutti gli anelli e gli attori delle filiere, dagli agricoltori-allevatori ai consumatori finali. Un prodotto buono e di valore deve essere raccontato da chi lo sa fare. La formazione e la comunicazione in questo senso restano fondamentali.
Nicola Bertinelli, Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano: Il mercato del Parmigiano Reggiano sta diventando sempre più internazionale. Oggi l’Italia rappresenta il 55% del mercato mentre la quota export è pari al 45% (+2,9% a volume rispetto al 2020). Gli Stati Uniti sono il primo mercato (21% dell’export totale), seguito da Francia (19%), Germania (17%), Regno Unito (11%) e Canada (5%). Nei mercati più importanti, le performance migliori, rispetto al 2020, sono state in USA (+10,4%), Francia (+4,5%) e Canada (+5,5%). Crescono anche la maggior parte dei mercati europei, in particolare Svizzera (+14,7%) e Svezia (+13,2%). Perde terreno il Regno Unito (-15,6%) a causa di Brexit, e la Germania (-1,9%) ma dopo un rialzo importante rispetto al 2019. Tutti i Paesi menzionati hanno un forte potenziale e ci aspettiamo che possano darci grandi soddisfazioni nei prossimi cinque anni. Più a lungo termine sono gli investimenti in Asia e Sudamerica. La strategia, per la comunicazione, è quella di far conoscere e spiegare i valori del prodotto, ossia i contenuti distintivi del disciplinare: dall’assenza di additivi e conservanti alla zona di origine, dalla totale naturalità all’assenza di lattosio che consente la stagionatura anche in tempistiche molto lunghe. La tregua che il Covid sta dando all’Europa potrebbe preludere, secondo l’OMS, alla fine della pandemia. La nostra filiera non solo ha retto all’onda d’urto del Covid ma quest’anno è riuscita a espandere i consumi e a trovare la stabilità dei prezzi alla produzione. Ora che stiamo uscendo da questa fase, dovremo fare fronte ai riflessi di un mercato che è stato tonico ma che potrebbe manifestare a seguito di un aumento produttivo trainato dai prezzi e dalla domanda – problemi di eccesso di offerta. Il piano marketing e i nuovi piani produttivi, deliberati in assemblea a dicembre 2021, sono i due strumenti principali con i quali ci apprestiamo ad affrontare queste sfide di breve e medio termine per posizionare, ancora una volta, il Parmigiano Reggiano su una traiettoria di crescita forte e di lungo periodo. Anche nel contesto attuale di incertezza, possiamo dire che il mondo dei prodotti di qualità ha superato bene il periodo Covid grazie alle scelte dei consumatori. Ora però ci sono sfide importanti all’orizzonte che, al netto dei nuovi problemi come la guerra in Ucraina e i suoi riflessi, si legano alla nuova PAC. Il 2022 sarà un anno chiave per le proposte di riforma UE della regolamentazione delle IG. Si tratta di un appuntamento politico importante per riuscire a semplificare il regolamento comunitario e, in particolare, le procedure di registrazione delle nuove DOP e il procedimento di modifica dei disciplinari. Sarà inoltre necessario trovare un modo per evitare le penalizzazioni nelle nuove regole legate all’attenzione nutrizionale: pensiamo al Nutriscore, alle recenti notizie dei bollini neri contro il vino e altre misure anche sulle carni lavorate. Siamo in una fase di transizione in cui va fatto quadrato politico per tutelare il valore dei prodotti di qualità che, se consumati responsabilmente, sono un motore di sviluppo del territorio anche in ottica sostenibile. E in questo c’è la priorità di lavoro sia a livello nazionale, sia comunitario sia anche di orIGin.
Antonio Auricchio, Presidente del Consorzio per la Tutela del Formaggio Gorgonnzola DOP: L’Italia è il Paese con il più alto numero di DOP e tra i nostri prodotti certificati i formaggi sono i più numerosi con 56 denominazioni. Il Gorgonzola in particolare, che è un formaggio senza concorrenti in Italia, è la terza DOP per importanza nel panorama dei formaggi da latte vaccino. Il nostro obiettivo pertanto è di rafforzare e valorizzare il nostro prodotto in Italia facendo conoscere al meglio le sue caratteristiche non solo di gusto ma anche nutrizionali. Pochi sanno per esempio che è adatto anche a chi è intollerante al lattosio, essendo naturalmente privo di lattosio (<0,1 g/100g), conseguenza naturale del tipico processo di produzione, e che è un mood food, ovvero uno di quegli alimenti che fanno bene anche all’umore. Abbiamo però ancora importanti margini di crescita soprattutto tra il pubblico più giovane con sbocchi su nuovi mercati nel mondo dove siamo presenti in 88 Paesi sovrani con una copertura globale del 46%. Le opportunità sono la nostra storia millenaria e un know how che solo i nostri esperti casari hanno e questo rappresenta una cultura del prodotto da valorizzare. Una criticità può essere rappresentata da scelte come quella del Nutriscore che non convincono perché appiattiscono il mercato e rischiano di penalizzare soprattutto i prodotti d’eccellenza. Poi il nostro grande nemico: l’Italian sounding che combattiamo costantemente ed è diventata una sfida imponente. Il legame col territorio è la forza delle IG e rafforzandolo non si può che crescere. Basti pensare a quanto sta aumentando il turismo enogastronomico. In Italia siamo leader in quanto a biodiversità, varietà di prodotti, cultura, paesaggio, clima. Dobbiamo essere consapevoli tutti, anche le istituzioni e la politica, che crescendo insieme si cresce di più e si rende un buon servizio al sistema Italia.
Stefano Berni, Direttore Generale del Consorzio Tutela Grana Padano: Veniamo da due anni controversi, dove i consumi domestici, anche all’estero, hanno assorbito il crollo dell’horeca. almeno durante il lockdown. La tendenza si è attenuata nel 2021 pur tra numerose incertezze, ma sui mercati esteri ha tuttavia visto consolidarsi e proseguire crescite significative. Questo dice che il Grana Padano DOP è entrato con maggiore decisione nelle case e quindi dovremo favorire questa tendenza e portarlo a essere sempre più un formaggio a pieno titolo nelle abitudini alimentari a ogni fascia di età, come avviene in Paesi di grande tradizione casearia, su tutti Germania e Francia. Sono anche convinto che i consumatori, oltre alla genuinità e ai controlli di qualità che da sempre garantiamo, sapranno anche apprezzare la sostenibilità, che offriamo da anni con studi e innovazioni, e il legame con il territorio, che va oltre il Made in Italy. Dovremo essere bravi a comunicare questi valori e perciò ci siamo attrezzati con un nuovo piano di marketing che prevede di superare il tasso di crescita media dei consumi del 2,6% annuo dell’ultimo decennio e già nel 2022 punterà a un rialzo del 3% circa delle vendite. Le criticità sono come di consueto l’Italian sounding, che cresce nei Paesi dove non ci sono accordi bilaterali con la UE per la protezione delle DOP, e gli ostacoli frapposti da sanzioni, embarghi e dazi che precludono ai prodotti italiani mercati importanti, come la Russia, da otto anni, e favoriscono l’affermarsi di prodotti “tarocchi”. L’opportunità è che la grande voglia d’Italia in tutti i continenti ci consentirà di far diventare il Grana Padano il formaggio simbolo d’italianità nel mondo. La nuova campagna di promozione e comunicazione che stiamo definendo valorizzerà il concetto che il Grana Padano è il frutto dei luoghi in cui è lavorato e delle sue materie prime, un formaggio dal sapore unico capace di comunicare la vera essenza del made in Italy. Sono convinto che il nostro lavoro sarà utile a tutto il sistema, pur se va ricordato che due formaggi e due prosciutti concentrano oltre l’80% della produzione DOP italiana. Un obiettivo da condividere dovrà essere l’affermazione delle produzioni IG come il risultato di una filiera legata rigorosamente a un territorio in ogni fase, partendo dalla materia prima utilizzata. È questo rapporto esclusivo tra territorio e prodotto che va oltre le produzioni italiane pur prestigiose, ma dove la materia prima non è necessariamente della zona di produzione, a rappresentare il valore aggiunto delle DOP e IGP.
Formaggi: produzione su, valore giù
Secondo quanto emerge dal Rapporto Ismea – Qualivita, i formaggi possono contare su 56 denominazioni e 25.830 operatori per un valore di 4,18 miliardi € alla produzione (-7,8%) pari al 57% del comparto alimenti DOP e IGP. Cresce la quantità certificata, ma cala il valore per alcuni formaggi DOP per le difficoltà di assorbimento del mercato interno, soprattutto per la chiusura dell’horeca durante la pandemia. Le esportazioni raggiungono 2,06 miliardi € grazie alla crescita nei Paesi UE. In Lombardia (1,32 miliardi €) e Emilia-Romagna (1,31 miliardi €) si concentrano quasi i due terzi del valore della categoria; al terzo posto la Campania (414 milioni €). Le prime cinque filiere DOP per valore alla produzione sono Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Mozzarella di Bufala Campana, Gorgonzola e Pecorino Romano che valgono 3,7 miliardi €.
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Fonte: Il Latte