La Corte di giustizia UE emette una sentenza rivoluzionaria su DOP IGP, che va contro la posizione dei consorzi sull’utilizzo dei nomi di denominazioni d’origine o indicazioni geografiche. Sarà presto “liberi tutti”? Secondo quanto ha sentenziato la Corte di giustizia dell’Unione Europea il 20 dicembre 2017, i presupposti ci sarebbero. L’organo comunitario, chiamato dalla Corte federale di giustizia tedesca a dirimere un contenzioso in cui erano opposti il retailer Aldi Stid e il Comité Interprofessionnel di Vin de Champagne, ente che tutela l’eccellenza francese, ha infatti emesso una sentenza rivoluzionaria, che, di fatto, renderebbe indipendente, dal nulla osta di consorzi o da quanto scritto nei disciplinari, l’utilizzo dei nomi delle denominazioni da parte delle aziende produttrici.
Con la causa C-393116, infatti, il Comité Interprofessionnel di Vin de Champagne aveva contestato ad Aldi Stid lo sfruttamento della DOP Champagne nel nome di un prodotto surgelato distribuito dall’insegna. Si trattava del “Champagner Sorbet”, referenza posta in vendita dal retailer nel 2012 e tra i cui ingredienti principali figurava, per il 12%, proprio il noto vino francese. Dopo un lungo iter, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha dato ragione ad Aldi, sulla base di un principio basilare: il nome della referenza posta in vendita non sfrutta la notorietà della denominazione transalpina, dal momento che la quantità d’ingrediente presente all’interno del prodotto, conforme al disciplinare, è stata considerata sufficiente per caratterizzarlo. Di conseguenza, il consumatore finale non viene ingannato sulla natura reale di quanto acquistato.
In poche parole: il sorbetto era realizzato con Champagne, aveva il gusto di Champagne e non arrecava danno alcuno né all’immagine della DOP, né alle Maison produttrici. Cosa significa tutto questo? Primo, è fornita un’interpretazione rispetto all’Art. 118 quater del Regolamento (CE) n. 1234/2007, cui si fa riferimento in tema di protezione di nomi in quanto denominazioni di origine o indicazioni geografiche. E si evidenzia come la finalità ultima sia quella della garanzia per il consumatore: dunque, verificare che i prodotti che fanno rimando a una DOP e IGP presentino le caratteristiche e la qualità riconosciute alla stessa per via della provenienza geografica.
Secondo, ma non meno importante, la sentenza di fatto potrebbe “liberalizzare” l’utilizzo dei nomi delle denominazioni. Facciamo qualche esempio. Con la sentenza del 20 dicembre scorso, il produttore di un dolce da forno, come può essere un panettone, realizzato con una dose adeguata di Prosecco, potrebbe presentare al consumatore la propria referenza chiamandola “Panettone al Prosecco”. Oppure, il produttore di pasta ripiena o di gelato potrebbe utilizzare, in totale autonomia, il nome di un qualsiasi formaggio DOP per indicare la referenza che propone al pubblico, se l’ingrediente citato la caratterizza.
Fonte: Vini&Consumi