A pagare il conto imposto dal coronavirus, potrebbero essere i produttori più piccoli e le specialità di nicchia DOP e IGP, che in un settore parzialmente risparmiato dalla crisi da lockdown, hanno comune perso entrate e ora rischiano la sopravvivenza.
Se le imprese maggiormente legate alla grande distribuzione sono infatti riuscite a tenere, le realtà più piccole, legate a ristorazione e turismo, hanno subito il contraccolpo. Si parla di un giro d`affari che tra DOP, IGP e STG vale 7,26 miliardi per una produzione di 300 prodotti, come si legge nell`ultimo rapporto Ismea Qualivita, da cui è stato escluso il vino, che vale da solo 8,9 miliardi.
L`importanza del turismo è evidente nel caso dello Speck Alto Adige IGP, che secondo il direttore del Consorzio Speck Alto Adige Igp, Matthias Messner, rischia di perdere il 15% del fatturato, con punte anche del 90% per chi è più legato a ristorazione e turismo.
La speranza è che la stagione estiva risollevi le sorti, un sentimento condiviso anche per le 11 malghe e per le aziende agricole sull`Altopiano dell’Asiago DOP che producono l`omonimo formaggio. Per il Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP c`è invece la speranza che le soluzioni messe in campo per ovviare alla mancanza di lavoratori agricoli, affiancate dalla riapertura di ristoranti e pizzerie, possano fornire ossigeno e smorzare un panorama secondo cui si stima comunque una perdita del 15% di fatturato. Per il Consorzio della Burrata di Andria IGP i problemi principali si sono creati nei trasporti, fattore che ha influenzato le vendite all`estero.
«Oggi la preoccupazione maggiore sembra essere legata al possibile calo dei prezzi. È un problema serio che io però metto al secondo posto: innanzitutto dobbiamo farci trovare pronti al rilancio con le giuste strategie nel momento in cui l’emergenza virus sarà superata – commenta Cesare Baldrighi, presidente di OriGin Italia, l’associazione che raggruppa i prodotti a indicazione geografica e alla guida del Consorzio del Grana Padano –. Ad esempio non dobbiamo smettere di investire per consolidarci sul consumo fuori casa. È importante lavorare sul turismo enogastronomico, che per molti prodotti rappresenta una risorsa irrinunciabile e con il Covid deve essere una strada da percorrere con maggiore attenzione».
Non c’è un rischio disgregazione, con imprese che potrebbero scegliere di abbandonare i sistemi di tutela per vendere a prezzi più bassi? «La minor capacità di spesa e la concorrenza di prodotti anonimi è un pericolo, ma la minaccia non arriva dall’interno dei consorzi, che hanno radici forti sul territorio con aziende abituate a lavorare sull’eccellenza, bensì dall’esterno, da player che potrebbero approfittarne per puntare su prodotti di scarsa qualità e dalle imitazioni dell’italian sounding, contro cui si deve sempre tenere alta la guardia. Il progetto Farm to Fork detta le linee guida dello sviluppo agroalimentare e abbiamo la necessità di seguirlo anche in tema di sostenibilità».
Ma la sfida più grande sembra quella di non perdere l’unità tra grandi e piccoli produttori. Gli operatori fanno propria la preoccupazione di Mauro Rosati, direttore della Fondazione Qualivita: «C’è il rischio – sostiene – che la crisi porti a un calo dei consumi di qualità . I consorzi e tutti gli attori della filiera oggi più di prima devono restare uniti per stimolare e incentivare le aziende più in difficoltà a rimanere all’interno di una produzione certificata. Serve l’aiuto di tutti, dalle istituzioni alla Gdo».
Fonte: Il Sole 24 Ore