La forza di un comparto economico, oggi, è strettamente connessa a come esso gioca e valorizza la carta delle proprie identità: viviamo infatti in un’epoca caratterizzata da un eccesso permanente di offerta, che espone le produzioni al rischio della invisibilità e della banalizzazione.
Parallelamente, pur nelle ristrettezze della crisi finanziaria internazionale, il consumatore dei paesi progrediti “mangia per appetito, non per fame”: è mosso cioè da motivazioni raffinate (appetito) e non più meramente basiche e legate ai bisogni primari (fame). Ciò crea un humus di domanda favorevole alla domanda di prodotti di qualità, anche sul piano identitario. In tali condizioni il sistema dell’agroalimentare di qualità necessita di un rafforzamento, alla luce della propria complessità simbolica, della presa di coscienza del suo impatto sulla qualità della vita delle persone e della propria integrazione con le comunità e le culture locali. È, questa, un’enorme opportunità. Con questo convincimento la Fondazione Qualivita e la Sapienza, Università di Roma hanno ideato e condotto la prima indagine sulle pratiche comunicative delle produzioni DOP, IGP, STG italiane. Attraverso questa ricerca si è voluto garantire un quadro d’insieme di quella che è la situazione delle produzioni DOP, IGP, STG sul piano comunicativo. Il quadro emerso è a chiaroscuri e si può sintetizzare nelle seguenti considerazioni:
• I dati raccolti dall’Osservatorio Qualivita ed elaborati dal CITTA, relativi agli investimenti pubblicitari effettuati dalle produzioni agroalimentari italiane, confermano che i marchi DOP, IGP e STG continuano a viaggiare soprattutto attraverso i media tradizionali.
• Le cifre investite in stampa (circa 5 milioni di euro), radio (poco più di 3 milioni) e web (quasi un milione di euro) sono di gran lunga inferiori rispetto alle risorse calamitate dal mezzo televisivo(16 milioni di euro).
• Tv, stampa e radio si confermano appannaggio solo di alcune produzioni note al grande pubblico e che sovente hanno affiancato alla denominazione certificata un proprio brand aziendale.
• I costi più contenuti della pubblicità su quotidiani e periodici e, in parte, sul mezzo radiofonico, permettono una maggior democratizzazione dell’accesso da parte di consorzi che altrimenti avrebbero ceduto di fronte alle pressioni del mercato televisivo.
• Mentre i mezzi tradizionali godono ancora di una certa fiducia rispetto all’efficacia comunicativa e la capacità di incidere sulle scelte dei consumatori, il web non riesce ancora a convincere il settore agroalimentare. Anzi, anche in Rete sembra riprodursi lo stesso scenario osservato sui media tradizionali: tranne qualche eccezione, solo i brand più noti al grande pubblicoscommettono sulle potenzialità offerte dai nuovi media per la costante valorizzazione della qualità agroalimentare certificata.
• Piuttosto elevato il numero di consorzi che dichiarano di non provvedere alla gestione della comunicazione né attraverso la creazione di un apposito ufficio interno né affidandola a consulenti esterni.
• Nelle narrazioni dei produttori sull’identità del prodotto si afferma un tendenziale allontanamento dal brand generico “Made in Italy”, a favore di una più decisa caratterizzazione territoriale e qualitativa dei prodotti: rispetto della tradizione, caratteristiche organolettiche, qualità certificata e provenienza geografica sono le dimensioni intorno alle quali si concentrano le parole chiave fornite dai consorzi per descrivere l’identità del proprio prodotto.
• Anche le narrazioni online restituiscono con una rilevante frequenza la parola “qualità”, associata all’agroalimentare. Per gli internet users, notoriamente più informati e più critici, l’elemento distintivo per la qualità, da coniugare necessariamente con la tracciabilità, è la provenienza geografica, espressione che ricorre nella quasi totalità dei contenuti analizzati.
• A conferma di questa valutazione sottolineiamo anche l’attenzione alla dimensione della sicurezza legata alla filiera produttiva dei marchi DOP, IGP e STG.
• La produzione casearia risulta l’unica menzionata soprattutto grazie alle numerose citazioni del prodotto gastronomico più esportato: il Parmigiano Reggiano.
• La categoria Italia riceve menzioni superiori a quella di Europa che invece prevale nei testi riguardanti le normative in materia di sicurezza alimentare.
• Mentre le community d’interesse nate online intorno alla questione alimentare aumentano, sono pochi i consorzi che si stanno dotando di strumenti di comunicazione che possano intercettare i
nuovi consumatori. Un utilizzo costante e corretto dei social network (Facebook e Twitter in particolare) e una cura continuativa dei contenuti e dell’estetica dei propri siti web non rappresentano ancora pratiche diffuse. Proprio per questo, il rapporto ha incluso anche la descrizione di alcune best practices, che potrebbero fornire indicazioni utili a chi si avvicina con più diffidenza alle logiche del
web 2.0. Grava sul sistema delle denominazioni nel suo complesso, l’onore-onere di provvedere a costruire il valore identitario delle produzioni di qualità. Di fatto sono queste le conclusioni del primo studio
sull’universo delle pratiche comunicative. Un progetto però, che persegua un modello di umbrellacommunication, che parli ai cittadini e lo faccia seguendo i dettami tecnici della comunicazione
commerciale e non seguendo la logica di breve termine delle campagne promozionali
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