«Speriamo di rimanerci fuori. Gli Stati Uniti sono il nostro primo mercato di esportazione, è un mercato che cresce molto. È stato aperto venticinque anni fa, continua a crescere, ci dà tante soddisfazioni. Se fossimo colpiti per noi sarebbe un grandissimo problema», spiega Stefano Fanti, direttore generale del Consorzio di tutela del Prosciutto di Parma.
Quanto vale per voi il mercato americano?
«Vale il 22-23 per cento del totale delle nostre esportazioni: parliamo di 623 mila prosciutti a fronte di una produzione totale di 8,7 milioni di pezzi. Corrisponde ad un controvalore di 80 milioni di euro».
Preoccupato per un’eventuale escalation?
«Beh, auspichiamo che gli americani non vogliano privarsi della possibilità di mangiare un prodotto come il nostro che è unico e che da loro non si trova. Perché prodotti un poco più generici, come possono essere la pasta, l’acqua minerale o le passate di pomodoro, possono anche essere di produzione locale, ma i prodotti a denominazione di origine sono tipici di un territorio e quindi inimitabili altrove. Se vuoi bere lo champagne non può che essere francese, nonostante le tante imitazioni, idem il caviale Beluga o il nostro Parmigiano Reggiano».
Sorpreso dalle notizie che arrivano dagli Usa, la minaccia di nuovi dazi?
«Il protezionismo, da quando mi occupo di commercio internazionale, e ormai sono venticinque anni, non è mai venuto meno. Dalla prima guerra delle banane allo scontro Europa-Usa sull’industria aeronautica sino a quello sulla carne agli ormoni, negli anni le ragioni di frizione sono state sempre tante. Al punto che periodicamente, ogni 3-5 anni, da una sponda o l’altra dell’Atlantico parte la richiesta al Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) di introdurre dazi supplementari. Ma occorre essere onesti: la lista di cui si sta discutendo ora non è frutto dell’iniziativa dell’amministrazione di Donald Trump ma è partita con Barack Obama».
Fonte: La Stampa